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L'indagine

Il verbale mai depositato: Giammanco, Borsellino e le ombre sulla Palermo che tace

Tre paginette che racchiudono i racconti del magistrato ai pm di Caltanissetta. La data vergata sul documento inedito è del 2017, un anno prima della morte del procuratore. Molte le smentite su alcuni tasselli fondamentali.

Laura Distefano, Laura Mendola

09 Ottobre 2025, 22:19

23:05

Pietro Giammanco

Pietro Giammanco nel 2017 fu sentito dai pm nisseni

L’unica testimonianza di Pietro Giammanco, procuratore capo a Palermo quando Paolo Borsellino era aggiunto, è racchiusa in un verbale di tre pagine del 16 agosto 2017, cioè sedici mesi prima che morisse a 87 anni. Giammanco ha parlato davanti ai pm Lia Sava e Gabriele Paci. Fu sentito come persona informata sui fatti

Un procuratore controverso, amico dell’onorevole Salvo Lima, che avrebbe fatto “spallucce” con gli uomini del potere della Palermo di quegli anni contorti. Un procuratore il cui operato, insieme a quelli di alcuni magistrati che all’epoca erano nel “nido di vipere” degli uffici giudiziari, è al centro dell’attenzione dei colleghi nisseni che stanno indagando sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992. Una strage ancora con tante verità da scoprire e raccontare. 

Quel verbale, che documenta un interrogatorio di due ore e mezzo, non è mai stato depositato in un procedimento penale. Ma oggi è stato reso noto dai TgR Sicilia. Si tratta del verbale sintetico. Ma il già procuratore di Palermo, alla fine dell'esame, lo ha firmato attestandone il contenuto. Giammanco ha parlato del suo ruolo di procuratore. Su Borsellino ha immediatamente chiarito: «I rapporti erano ottimi». E ha aggiunto: «Non c’erano contrasti fra me e Borsellino. Di fatto lui lavorava su Palermo, anche perché in materia di criminalità organizzata non ci sono compartimenti stagni». Borsellino, in verità, in qualità di aggiunto aveva la delega solo su Trapani e Agrigento.

Sulla mattina del 19 luglio 1992 Agnese Piraino, moglie del magistrato ucciso con gli agenti di scorta sotto le bombe di via D'Amelio, raccontò un particolare dinnanzi alla Corte d’Assise di Caltanissetta: «Mio marito si è alzato molto presto la mattina, lui era molto mattiniero, e ha ricevuto una strana telefonata alle 7.00 del mattino. Il Procuratore Giammanco l'aveva chiamato perché la notte non aveva potuto dormire pensando che la mattina doveva dare la delega per interessarsi lui dei processi di mafia riguardanti Palermo. La telefonata ha turbato (Paolo Borsellino, ndr) moltissimo, non ne era proprio entusiasta. Il Procuratore Giammanco ha detto: «Così la partita è chiusa»; lui ha ripetuto: «La partita è aperta». E ha cominciato a passeggiare su e giù per il corridoio».

Giammanco ha smentito nel 2017: «Non è vero che il 19 luglio 1992 di mattina telefonai a Borsellino per dirgli che da quel momento avrebbe avuto la delega su Palermo. Non ho mai telefonato a casa di Borsellino. Questa cosa non risponde a verità». Ma, per difendersi, ha chiarito: «Mi resi conto, solo dopo le stragi, che le dichiarazioni di Gaspare Mutolo erano molto importanti. Avevo ottimi rapporti con De Gennaro (che è stato intercettato di recente dalla procura di Caltanissetta per l’indagine sull’agenda rossa). Un giorno di febbraio 1992 il De Gennaro mi disse che doveva parlarmi con urgenza. Rammento che ci incontrammo nel pomeriggio dello stesso giorno e si mise a parlare della collaborazione di Mutolo che era importantissima perché era stato autista di Totò Riina. Dopo la strage di Borsellino i colleghi Natoli, Aliquò e Lo Forte andarono a sentire Mutolo che si rifiutò di parlare con loro. Allora io compresi la gravità della situazione e l’importanza delle dichiarazioni di Mutolo. Ecco perché non potevo aver fatto quella telefonata il 19 luglio mattina, perché io non avevo compreso l’importanza di quelle dichiarazioni».

L'attentato contro Borsellino pare una strage già annunciata. Sono tante le falle nel sistema di sicurezza dell'epoca. Alla fine di giugno 1992 fu l’allora ministro della difesa Salvo Andò (anche lui nel mirino di Cosa nostra) a comunicare al giudice palermitano di avere saputo dallo stesso Giammanco che per lui a Palermo era arrivato il tritolo. Borsellino, adirato, chiese conto e ragione della mancata comunicazione al procuratore. Anche su questo Giammanco ha smentito: «Non risponde al vero che Borsellino si sia adirato con me per non aver appreso di una notizia che parlava di un attentato a lui stesso ed all’onorevole Salvo Andò. Si tratta di circostanza assolutamente non veritiera. Sapevo bene che potevo fare bene il Procuratore solo in armonia e non ho mai avuto contrasti con i sostituti e con gli aggiunti».

Un dato però è certo. Dopo la strage di via D’Amelio i magistrati di Palermo raccolsero le firme per indurre Giammanco a lasciare l’incarico a capo dell’ufficio inquirente di Palermo. E ci riuscirono.

I magistrati di Caltanissetta sono al lavoro per ricostruire la verità storica di quegli anni. Ma il tempo passa. E alcune verità sembrano sepolte da troppi non ricordo e silenzi. Un'omertà istituzionale che continua a ferire il cuore dei familiari del giudice. Della Sicilia. E dell'Italia intera.