Il delitto
Palermo vuole ripartire dopo l'omicidio Taormina ma i complici di Maranzano si proteggono tra di loro
In centinaia in piazza allo Zen con Lorefice ma su quella sera c'è ancora omertà

La serata per Paolo Taormina allo Zen
Un colpo di pistola come un incantesimo che cambia la città in pochi attimi. La pallottola che una settimana fa ha ucciso mentre stava lavorando nel locale di famiglia un ragazzo di 21 anni, Paolo Taormina, all’Olivella, potrebbe aver deciso quello che sarà il destino di Palermo da qui in avanti. Una città, il capoluogo siciliano, che si è scoperta vecchia, ancorata a putridi schemi del passato che sanno di mafia, mentre tutto attorno cambia.
Le tre zone rosse decise in settimana sono entrate in vigore da ieri: i pregiudicati o i molesti non potranno andare in determinati locali e in determinati luoghi per tre mesi. Tutto questo era stato decisivo in un drammatico vertice tra il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla e il presidente della Regione Renato Schifani. Si sono guardati negli occhi, pochi giorni dopo l’omicidio di Paolo e a pochi mesi dalla morte di altri tre ragazzi a Monreale, finiti allo stesso modo, e hanno deciso che qualcosa andava fatta.
Intanto, oltre alle zone rosse, quello che certo sono nuove telecamere di videosorveglianza collocate in alcuni punti strategici della città grazie a un investimento di 2,7 milioni di euro, l’invio anticipato di 24 poliziotti con ulteriore incremento progressivo degli organici nell’arco di tre mesi e altro ancora.
Misure di un certo peso che hanno lasciato qualche dubbio. C’è chi ha parlato di “pericolo zone franche dove i delinquenti possono fare quello che vogliono”, come ha fatto notare il presidente di Confcommercio Palermo Patrizia Di Dio, c’è chi come il segretario del Silp Cgil Sicilia, Marco Algeri, ha detto che «invocare la militarizzazione della città, come soluzione temporanea o risolutiva, è una scelta superficiale e pericolosa e non da Stato civile». Doriana Ribaudo, presidente della Fiepet Palermo, ha proposto un protocollo di sicurezza urbana e nei pubblici esercizi di ben otto punti.
Il problema è che dall’omicidio di Paolo Taormina la città si è resa conto di stare vivendo sotto una cappa tossica, e ora è corsa alle mascherine in attesa che l’aria torni a essere più respirabile. In sette giorni si è visto di tutto, o meglio: ci si è resi conto di tutto. Ci si è ritrovati impauriti, avvolti dagli spari, tra blitz e restrizioni. Ci sono state le retate allo Zen, il quartiere del killer di Taormina, reo confesso, Gaetano Maranzano, una dietro l’altra, alla ricerca di possibili complici. Questo perchè il 28enne, padre di una figlia (che non potrà forse più vedere) non ha fatto i nomi di chi l’ha aiutato a fuggire dopo aver sparato, nonostante prima abbia ammesso di aver ammazzato un ragazzo perchè «lo aveva sfidato», nemmeno fosse Joe Pesci in «Quei bravi ragazzi». E anche ta di loro, i quattro che sono attualmente indagati per essere complici, si sono protetti tra di loro.
Palermo ha anche scoperto di aver un problema di iconografia mafiosa: ci si è accorti che forse tutto ciò poteva essere un problema, dopo che il video di Marazano (a proposito, il legale Rosanna Vella ha abbandonato la sua difesa per “divergenze con la famiglia” nella strategia) dove inneggiava Totò Riina aveva avuto 3000 like. Il rumore dello sparo che ha ucciso Paolo si sente ancora, come le lacrime ai suoi funerali, e le urla dei suoi amici davanti al carcere dove è richiuso Maranzano. Sotto la cappa anche tante fiaccolate e bei momenti, come la “movida alternativa” allo Zen, con tanti giovani in chiesa con l’arcivescovo Lorefice. Durerà l’incantesimo? Forse no, ma è un inizio.