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la storia

Il ragazzo di Sciacca che mise ko i pregiudizi e divenne campione con un cognome scozzese

Giuseppe Curreri, figlio di pescatori siciliani all'età di cinque anni approdò a New York: divenne famoso come Johnny Dundee

10 Novembre 2025, 10:35

Il ragazzo di Sciacca che mise ko i pregiudizi e divenne campione con un cognome scozzese

Tra la fine dell'Ottocento e l’inizio del Novecento, migliaia di italiani attraversarono l’Atlantico con una valigia di cartone e il sogno di una vita migliore. Ma l’America non era terra di accoglienza: per i “Wop” e i “Dago”, come venivano chiamati con disprezzo gli immigrati dallo Stivale, le porte erano spesso chiuse. Senza soldi, senza lingua, senza diritti, molti finirono nei quartieri più poveri, dove la sopravvivenza si giocava ogni giorno. E per alcuni, il riscatto passava da un luogo inaspettato: il ring. La boxe, sport duro e popolare, offriva una via d’uscita.

Ma per combattere, gli italiani dovevano spesso nascondere le proprie origini. Almeno in quel periodo, quando dopo un lungo viaggio nell’Oceano Atlantico arrivavano a New York e sbarcavano a Ellis Island, l'isolotto di fronte a Manhattan, un tempo adibito dall’esercito americano a deposito di armi e di munizioni, dove tra il 1892 e il 1924 furono registrati gli arrivi di oltre 22 milioni di immigrati. E tra questi, solo nel decennio 1885-1895, ci sono stati in media 35mila arrivi dall’Italia all'anno.

Tra di loro c'era Giuseppe Curreri, figlio di pescatori siciliani nato a Sciacca nel 1893. Attraversò anche lui l'Atlantico con la famiglia e all'età di cinque anni approdò a New York. A 15, quando si avvicinò alla boxe e mostrò di avere tanto talento, divenne Johnny Dundee. Ad inizio secolo i promoter della boxe preferivano nomi irlandesi o scozzesi, perché “loro sapevano boxare”. E dopo pochi anni diventò il primo pugile nato in Italia a vincere un titolo mondiale. Negli anni successivi le cose cambiarono e molti pugili di origine italiana, ma nati negli Stati Uniti, riuscirono ad utilizzare il loro cognome di nascita e combattere senza censure, raggiungendo in alcuni casi il tetto del mondo. Dundee era un nome che evocava forza e tradizione, ma che non cancellava le sue radici. Giuseppe Curreri fu infatti soprannominato “Scottish Wop”, lo scozzese italiano, e “The Little Bar of Iron”, per la sua resistenza fuori dal comune.

Crebbe nell’“Hell’s Kitchen”, un quartiere di New York, in cui la sua famiglia gestiva un mercato di pesce. Viveva in un quartiere malfamato e si rese subito conto che bisognava saper usare le mani per difendersi. “Pinuzzo”, così lo chiamavano in famiglia, cominciò a fare la boxe nella palestra del quartiere, luogo frequentato da molti altri giovani della zona, alcuni dei quali riuscirono anch'essi ad ottonere buoni risultati.

La carriera di Giuseppe Curreri, poco conosciuta forse per via di quel nome scozzese che si portò dietro per tutta la vita, è davvero leggendaria: debuttò nel professionismo il 10 agosto 1910 a soli 17 anni, e proseguì fino al 1932, disputando ben 334 match, un record che lo rese immortale. Era determinato. Gli mancava solo la potenza, ma possedeva una velocità fuori dal comune, una tecnica sopraffina e un gioco di gambe che incantava il pubblico e disorientava gli avversari.

La sua prima chance mondiale arrivò nel 1913, dopo circa 90 match, contro il campione Johnny Kilbane. Pareggiò in 20 riprese, ma il titolo arrivò solo nel 1921, quando sconfisse George “Ko” Chaney e divenne il primo campione mondiale dei superpiuma (o Junior Lightweight, come si diceva allora). Due anni dopo, conquistò anche il titolo dei piuma battendo il francese Eugene Criqui.

Dundee non era un picchiatore, ma un maestro di tecnica e velocità. Affrontò i migliori dell’epoca: Benny Leonard (otto volte), Lew Tendler, Freddy Welsh, Willie Ritchie, Rocky Kansas. Combatté fino a 39 anni, un’età eccezionale per quei tempi, e chiuse la carriera nel 1932, quando disputò e vinse il suo ultimo match. Nel 2003 fu inserito nella Boxing Hall of Fame con doppia cittadinanza, italiana e statunitense. Il libro “The Italian Stallions” che racconta la storia dei grandi pugili italiani che hanno ispirato grandi film come “Toro scatenato” e “Rocky”, lo definisce «il primo dei grandi pugili italo-americani». “Boxrec” lo inserisce al terzo post nella classifica di tutti i tempi dei pesi piuma, mentre, “Ring Magazine” lo posiziona al quarto posto. Morì nel 1965.

In Sicilia, anche a Sciacca, lo hanno dimenticato: qualche anno fa un editore locale riaccese l'attenzione con la pubblicazione della sua storia, sperando che le autorità locali, in occasione dei 100 anni dalla nascita, organizzasse un ricordo o una intitolazione. Ma anche quella iniziaitiva finì nel dimenticatoio.

Ma Dundee non fu un caso isolato nel ricco elenco di italiani che con la boxe riuscirono a riscattarsi. Dopo di lui, altri italiani (ma nati in America) salirono sul tetto del mondo: Tony Canzoneri, tre volte campione mondiale; Rocky Marciano, l’unico peso massimo imbattuto della storia; Jake LaMotta, il “Toro Scatenato” immortalato da Scorsese; Carmen Basilio, campione dei welter e dei medi. E poi altri due emigrati, come Curreri: dal più noto Primo Carnera, che arrivò negli Usa nel 1929 e fu il primo italiano a vincere un titolo mondiale dei pesi massimi, al più recente Vito Antuofermo, che portò il tricolore sul ring negli anni ’70. Con Canzoneri, che per salire su un ring non fu costretto a cambiare nome ed ancora oggi è ricordato per essere stato campione del mondo in tre diverse categorie e per aver detenuto un totale di cinque titoli mondiali, Dundee ha pure combattuto, in quello che forse è l’unico “derby siciliano” di pugilato con in palio il titolo mondiale. Era il 1927 e Dundee era quasi alla fine della sua lunga carriera. Figlio di emigrati provenienti da Palazzo Adriano, Canzoneri aveva solo 19 anni e in quell’incontro al Madison Square Garden, valevole per i pesi piuma, vinse il suo primo titolo mondiale, cominciando una scalata entusiasmante.

Per gli emigrati italiani la boxe fu più di uno sport: fu una rivincita. Un modo per dire che anche gli italiani, partiti dal nulla, potevano diventare campioni. E Giuseppe Curreri, il ragazzo di Sciacca che per combattere diventò Johnny Dundee, resta il simbolo di quel sogno realizzato a pugni stretti.