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L'INTESA

Truffe agli anziani, Enna alza la guardia: storie, numeri e strumenti di un presidio che funziona

Un progetto concreto, nato dal Protocollo tra Comune e Prefettura e sostenuto dal Ministero dell’Interno, che mette in rete comunità, forze dell’ordine e servizi sociali. Ecco cosa è stato fatto, perché è importante e come replicarlo.

Alfredo Zermo

03 Dicembre 2025, 20:02

Truffe agli anziani, Enna alza la guardia: storie, numeri e strumenti di un presidio che funziona

C’è un telefono fisso che squilla, una voce si presenta come “maresciallo”, chiede contanti per un parente in “guai seri”. A Enna, sempre più spesso, quel copione finisce con un’altra voce—questa volta reale—che risponde al numero dedicato del progetto di prevenzione: 0935-40526. Dietro quella linea non c’è il panico, ma un protocollo. Non ci sono promesse, ma procedure. E, soprattutto, ci sono persone formate per dire la cosa giusta al momento giusto: “Non apra. Non consegni denaro. Chiami il 112. Siamo qui per aiutarla”.

La scena sintetizza l’essenza del percorso presentato oggi nel Salone di Rappresentanza del Palazzo del Governo: educare, proteggere, dare strumenti alle persone anziane. Il progetto, avviato dal Comune di Enna con un finanziamento di 18.841,45 euro del Ministero dell’Interno tramite Protocollo d’Intesa con la Prefettura, ha imboccato la strada più difficile ma più utile: trasformare la prevenzione in una pratica quotidiana. Alla presentazione, la cornice istituzionale era al completo: la Prefetta di Enna Maria Carolina Ippolito, il Sindaco Maurizio Dipietro, i vertici provinciali delle Forze di Polizia. E un messaggio netto: gli anziani non sono soli, e la comunità—se formata—è il primo antifrode.

Cosa è stato fatto: una “cassetta degli attrezzi” contro gli inganni

  1. Una campagna informativa multimediale: materiali chiari e brevi, declinati sulle truffe più ricorrenti—dal “finto maresciallo” al “falso incaricato dei servizi”, fino alle frodi via sms e spoofing—per riconoscere i segnali d’allarme e reagire con prontezza.
  2. Un numero telefonico dedicato: 0935-40526, attivo per informazioni e orientamento, il primo filtro che aiuta a distinguere un contatto autentico da un raggiro ben orchestrato.
  3. Percorsi formativi per chi sta in prima linea: non solo i cittadini anziani, ma anche operatori dei Servizi Sociali e della Polizia Locale. Per questi ultimi, la giornata in Prefettura si è chiusa con la consegna degli attestati, un segno tangibile di un investimento sulle competenze.

La Prefetta Ippolito ha parlato di “sicurezza partecipata”: un concetto chiave, perché la prevenzione funziona quando la rete territoriale—Prefettura, Comune, Forze dell’Ordine, associazioni e media locali—parla lo stesso linguaggio e condivide procedure standard. È esattamente ciò che il Protocollo d’Intesa ha reso possibile: non un atto formale, ma un metodo replicabile.

Perché serve: il fenomeno cambia, la vulnerabilità resta

I dati raccontano due verità insieme. La prima: le truffe sono un fenomeno in evoluzione, sempre più ibrido tra porta di casa e rete. La seconda: gli anziani restano un bersaglio privilegiato quando i truffatori puntano su paura, urgenza, isolamento. L’Istat evidenzia che nei 12 mesi tra il 2022 e il 2023 circa 1,7 milioni di persone hanno subito truffe o raggiri in rete, spesso legati a strumenti bancari; e che, pur migliorando la percezione di sicurezza, anziani e donne si sentono più esposti nelle ore serali. In parallelo, l’uso di Internet cresce anche tra i 65-74enni e gli over 75 (+7,6 e +6,7 punti percentuali nel 2024): una buona notizia per l’inclusione, ma anche un nuovo fronte per i malintenzionati.

La cronaca quotidiana conferma il repertorio consolidato: il “finto nipote”, il “falso incidente” con richiesta di soldi immediata, l’incaricato del gas o dell’acqua, i call center che estorcono un “sì” per attivare contratti non richiesti, lo spoofing che traveste numeri di banche e istituzioni. L’Arma dei Carabinieri sintetizza bene il punto: “Non aprite, non pagate, verificate. E se avete un dubbio, chiamate il 112.” La regola del “prendere tempo” è il primo salvavita.

Il modello Enna, in un mosaico nazionale che si muove

Quello ennese non è un caso isolato: in questi anni, molte città hanno stretto protocolli analoghi con le rispettive Prefetture. A Bologna, il progetto “Non fidatevi delle apparenze” ha abbinato alla campagna informativa un sostegno economico alle vittime (fino a 500 euro in situazioni specifiche) e micro-strumenti di tutela come le catenelle di sicurezza per il portafogli, con un finanziamento ministeriale di circa 68.700 euro e obiettivi entro novembre 2025. A Venezia, “Ocio Ciò” ha messo al centro la sicurezza percepita e l’aggregazione, con report bimestrali e un Fondo dedicato. A Matera sono previsti entro fine novembre 2025 incontri in parrocchie e centri anziani, uno sportello dedicato e misure di prossimità; a Pistoia, addirittura, la prevenzione è salita sul palco con “Il teatro della sicurezza”, perché anche l’empatia è uno strumento di difesa.

La matrice è comune: un finanziamento dedicato—spesso a valere sul Fondo Unico Giustizia del Ministero dell’Interno—e un Protocollo d’Intesa che traduce risorse, formazione e comunicazione in azioni misurabili. Il progetto ennese si colloca precisamente in questo solco e ne incarna il tratto più convincente: unire multicanalità (materiali, incontri, telefono) e formazione di prossimità.

Lezioni apprese: cosa ha funzionato davvero

  1. “Non aprire quella porta” non basta più: servono simulazioni, esempi reali, script di risposta. I percorsi formativi per Polizia Locale e Servizi Sociali a Enna hanno lavorato su situazioni-tipo, dal contatto telefonico al suono del campanello, offrendo frasi pronte e checklist da seguire senza esitazioni.
  2. Il numero dedicato è un sensore di comunità: raccoglie segnalazioni, intercetta trend (ad esempio nuove varianti di smishing e vishing), alimenta la mappa del rischio. Il dato che conta non è solo “quante chiamate”, ma “quanti inganni sventati in tempo”.
  3. La comunicazione funziona se parla la lingua giusta: caratteri grandi, messaggi brevi, due o tre regole alla volta, esempi concreti. Quando c’è troppa teoria, l’attenzione scivola; quando c’è una storia simile a quella del vicino di casa, la memoria si attiva.

Gli “strumenti minimi” per replicare il progetto in altri Comuni

  1. Un Protocollo d’Intesa tra Prefettura e Comune per coordinare azioni e risorse.
  2. Un numero dedicato facile da memorizzare e da affiggere in condominio, parrocchia, centri anziani, farmacie.
  3. Un kit multimediale standard: locandine con i 4 segnali d’allarme (urgenza, richiesta di denaro, identità “autorevole” non verificabile, sollecitazione a segreto), schede “cosa fare/cosa non fare”, brevi video.
  4. Formazione per operatori e volontari che visitano a casa gli over 65: saper “leggere” i campanelli d’allarme e attivare subito la rete.
  5. Un registro anonimo delle chiamate al numero dedicato per monitorare fenomeno, tempi di risposta, esiti.
  6. Una campagna annuale a cadenza fissa (primavera/estate), quando cresce il rischio di isolamento.

I consigli essenziali: poche regole, ripetute spesso

  1. “Autorità” e “urgenza” sono i due ganci più usati. Davanti a richieste di denaro per incidenti, multe, pratiche bancarie: fermarsi, verificare autonomamente, chiamare il 112 o il numero dedicato.
  2. Nessuna Forza di Polizia chiede soldi o ritira gioielli a domicilio. Mai.
  3. Con i call center: evitare di rispondere “” a domande generiche; se non è chiaro chi chiama, chiudere e richiamare il numero ufficiale reperibile sui documenti dell’ente.
  4. Niente codici, password, one-time password al telefono. Banche e Poste non li richiedono telefonicamente o via sms.
  5. In caso di dubbio, non aprire e non firmare nulla. La fretta è l’alleata del truffatore; il tempo è l’alleato del cittadino.

Queste regole non sono buon senso generico: sono le stesse “pillole di prevenzione” diffuse dall’Arma dei Carabinieri, che dettaglia le principali trappole—dal finto avvocato al finto tecnico—e offre un vademecum semplice e ripetibile. Le campagne della Polizia di Stato insistono sullo stesso punto: creare una rete di familiari, vicini, esercenti, parroci, farmacisti che sappiano riconoscere l’inganno e interromperlo.

Formare gli operatori cambia il risultato

Il dettaglio più interessante del progetto ennese è l’attenzione agli operatori. Non solo formazione agli anziani—indispensabile, ma non sufficiente—bensì competenze operative a chi intercetta per primo la vulnerabilità: agenti della Polizia Locale, assistenti sociali, personale dei servizi comunali. Saper porre la domanda giusta (“Ha ricevuto telefonate sospette in settimana?”), saper trasformare un sospetto in un alert verificabile, saper indirizzare le persone verso la denuncia: sono passaggi che fanno la differenza tra un “quasi incidente” e un danno evitato.

Misurare l’impatto: oltre i volantini

  1. Quante chiamate al 0935-40526? In quali fasce orarie? Con quali esiti?
  2. Qual è il tempo medio tra la chiamata e l’attivazione dei controlli (forze dell’ordine, banca, gestori di servizi)?
  3. Quanti operatori formati e in quali quartieri?
  4. Quante segnalazioni hanno portato a tentativi di truffa interrotti?

Sono indicatori che aiutano a migliorare le azioni e a rendicontare in modo trasparente l’uso dei fondi. Non servono grandi banche dati: bastano moduli sintetici e una relazione finale che racconti numeri e storie, come già fanno realtà che—da Bologna a Venezia—hanno istituzionalizzato report periodici.

La dimensione emotiva: vergogna, solitudine, fiducia

C’è un ostacolo spesso sottovalutato: la vergogna. Molti anziani non denunciano per timore del giudizio o per il senso di colpa. La risposta deve essere non giudicante e rapida, con sportelli di ascolto e, quando possibile, un supporto psicologico breve orientato al trauma. Alcune città lo hanno già integrato nei progetti; è un tassello da copiare.

Dove stiamo andando: dal locale al sistema

Dietro una telefonata intercettata in tempo c’è una politica pubblica che, negli ultimi anni, ha scelto di sostenere progetti locali con finanziamenti mirati, campagne nazionali e strumenti europei per la sicurezza. Ma la vera frontiera è standardizzare ciò che funziona: uno scheletro comune di contenuti, procedure, indicatori—e poi la libertà di ogni territorio di customizzare su lingua, canali, tradizioni. Enna, con il suo progetto, dimostra che si può: pochi soldi, idee chiare, alleanze giuste.

Il risultato più prezioso, alla fine, è una frase che ricorre tra i partecipanti agli incontri: “Adesso so cosa fare.” Perché le truffe si battono così: una regola alla volta, una porta che resta chiusa al momento giusto, una telefonata che passa dal numero sbagliato al numero giusto.

In pratica: il promemoria da tenere vicino al telefono

  1. Davanti a richieste di denaro o dati: dire “Devo consultarmi con i miei familiari”, riagganciare, chiamare il 112 o il 0935-40526.
  2. Non aprire a chi si presenta senza appuntamento come tecnico, postino, bancario, assicuratore. Verificare sul numero ufficiale stampato su bollette o carte clienti.
  3. Mai comunicare codici, password, OTP. Nessuna banca li chiede al telefono o via messaggio.
  4. Se avete anche solo il sospetto, chiamate. È meglio un falso allarme che un danno vero.

Nel Salone della Prefettura, alla consegna degli attestati, il progetto ha cambiato pelle: da iniziativa a presidio. E un presidio funziona quando non lo notiamo: perché gli inganni si fermano prima di cominciare, perché una voce pronta risponde dall’altra parte del filo, perché una comunità si allena a dire, con gentilezza e fermezza, la parola che i truffatori temono più di tutte: no.