«Sono molto orgoglioso di annunciare che Israele e Hamas hanno entrambi sottoscritto la prima fase del nostro Piano di pace». Con queste parole, pubblicate su Truth Social alle 19:00 ora di Washington (01:00 in Italia), il presidente Donald Trump ha ufficializzato il successo della sua mediazione in Medio Oriente.
Nel messaggio, Trump ha spiegato che l’accordo prevede «il rilascio imminente di tutti gli ostaggi e il ritiro graduale delle truppe israeliane secondo una linea concordata». Il presidente ha definito l’intesa «un passo decisivo verso una pace forte, duratura e perenne», ringraziando i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia per la loro collaborazione. «Benedetti i costruttori di pace», ha concluso.
La corsa al Nobel e la strategia geopolitica
Dietro la rapidità dell’annuncio si nascondono molteplici motivazioni politiche e personali. Trump punta a coronare la sua iniziativa diplomatica con il Premio Nobel per la Pace, che potrebbe essere assegnato già domani, ma anche a imprimere una svolta strategica negli equilibri del Medio Oriente.
Il presidente americano avrebbe voluto chiudere l’accordo in tempi rapidi per evitare un possibile ritorno dell’Iran al tavolo dei negoziati, scenario che rischierebbe di compromettere l’estensione degli Accordi di Abramo al mondo arabo sunnita e di isolare nuovamente Teheran. Al tempo stesso, Trump mira a consolidare la propria leadership internazionale, anche in funzione del dossier ucraino, dove cerca una nuova legittimazione diplomatica.
Le tensioni interne e il fronte Maga
La fretta di Trump è legata anche ai malumori crescenti all’interno della sua base Maga. Alcune figure di spicco, come Candace Owens e Tucker Carlson, hanno espresso posizioni critiche nei confronti del premier israeliano Benyamin Netanyahu, accusandolo di eccessiva rigidità militare.
La recente scomparsa di Charlie Kirk, che aveva manifestato apertamente l’intenzione di “abbandonare la causa israeliana”, ha ulteriormente scosso gli ambienti conservatori americani. In questo contesto, Trump punta a ricompattare il suo elettorato presentandosi come l’artefice di una storica pace in Medio Oriente.
Il ritorno di Jared Kushner e la diplomazia della Casa Bianca
Per raggiungere l’obiettivo, Trump ha richiamato in servizio Jared Kushner, già architetto degli Accordi di Abramo durante il primo mandato presidenziale. Insieme all’inviato speciale Steve Witkoff, Kushner ha lavorato a stretto contatto con il vicepresidente J.D. Vance, il segretario di Stato Marco Rubio e la capo di gabinetto Susie Wiles per definire la strategia finale.
I negoziatori americani sono poi partiti per Sharm el-Sheikh, dove si è svolta l’ultima fase del dialogo con i rappresentanti israeliani e palestinesi. «Netanyahu ha fatto un grande lavoro con la forza militare per esercitare pressione su Hamas, ma ora deve comprendere che è il momento di accettare la tregua», avrebbe detto Trump ai suoi collaboratori.
Gaza e la prospettiva economica del dopoguerra
Secondo le stime delle Nazioni Unite, la ricostruzione della Striscia di Gaza richiederà circa 52 miliardi di dollari, una cifra ingente ma proporzionale alle opportunità economiche e geopolitiche che la pace potrebbe generare. Trump, in più occasioni, ha definito Gaza «una potenziale Riviera del Mediterraneo», simbolo di rinascita e cooperazione tra Israele e i Paesi arabi.
Un nuovo equilibrio per il Medio Oriente
L’attivismo diplomatico del presidente statunitense è evidente. Fonti vicine alla Casa Bianca riferiscono che Trump avrebbe personalmente redatto il testo delle scuse di Netanyahu all’emiro del Qatar per il bombardamento di Doha, un gesto che ha facilitato il riavvicinamento con i mediatori arabi.
L’Arabia Saudita, nel frattempo, ha risposto positivamente al processo, spingendo l’OPEC ad aumentare la produzione di petrolio come segnale di distensione. L’obiettivo di Trump è chiaro: ampliare gli Accordi di Abramo all’intera regione, favorendo una soluzione a due Stati e spingendo anche l’Iran a scegliere tra isolamento o cooperazione.