il racconto
Crisi alla Regione, pontieri in campo. Le misure “impallinate” pesano per 200 milioni
Maggioranza in tilt, decisivo il vertice di lunedì (ma anche come ci si arriverà). Galvagno minimizza: «Rapporto solido con Schifani». Che tace

Venti di crisi nella maggioranza regionale
«Non è tanto importante il vertice di maggioranza di lunedì, ma piuttosto quello che si deciderà in queste ore». La sintesi di un navigato deputato del centrodestra fotografa lo stato della maggioranza. È stata una notte insonne per tanti, quella trascorsa dopo il voto alla manovra quater, uscita più che azzoppata: 17 articoli su 54 bocciati da franchi tiratori e voto segreto. Valore totale 200 milioni. Lo spettro della doppia coalizione interna al centrodestra - da una parte Dc, Lega e Forza Italia (o quantomeno la parte più vicina a Schifani); dall'altra Fratelli d'Italia e Autonomisti e i forzisti malpancisti, col concorso esterno di Cateno De Luca - già emerso platealmente in estate nella precedente manovrina, è ricomparso allungando un'ombra inquietante sul futuro del governo di Renato Schifani. Perché se nei mesi scorsi i meloniani erano rimasti un passo indietro, alle prese con i guai giudiziari dei due big (il presidente dell'Ars Gaetano Galvagno e l'assessora al Turismo Elvira Amata), stavolta hanno avuto un ruolo centrale nelle dinamiche dell'aula. Un protagonismo acceso dagli sgarbi incassati nelle ultime settimane: primo fra tutti la riconferma di Salvatore Iacolino alla Sanità come direttore generale del Dipartimento della pianificazione strategica; poi la nomina a direttore sanitario dell'Asp di Catania di un fedelissimo di Luca Sammartino, in quota Lega, quando quella casella, nella distribuzione da manuale Cencelli che attanaglia la sanità siciliana, spettava proprio a FdI; infine il passaggio alla Lega di un altro meloniano catanese: Francesco D'Urso Somma, già vicesegretario regionale del partito.
Insomma, una raffica di colpi bassi la cui vendetta si sarebbe consumata giovedì all'Ars. Eppure nella maggioranza c'è chi definisce «riduttiva» da più di un deputato, convinto invece che la Caporetto della manovra quater possa addirittura rappresentare il capitolo finale della presidenza Schifani. O quantomeno un messaggio chiarissimo e definitivo sul fatto che non sarà lui il candidato governatore al prossimo giro.
La richiesta del presidente alla sua maggioranza di uscire dall'aula per far venire meno il numero legale non ha avuto effetti, perché meloniani, autonomisti e Sud chiama Nord sono rimasti dentro. A quel punto, dopo un po', è arrivato il dietrofront e l'invito a Dc, Lega e Forza Italia di rientrare. «Una cosa mai vista per una finanziaria, un suicidio - commenta uno di quelli che ha obbedito alle indicazioni - e il problema è che Schifani non ammette di avere sbagliato». Strategia fallimentare a cui non si sarebbe opposto neanche Sammartino, descritto come «stranamente poco partecipe, a dispetto del suo solito iperattivismo».
Nella notte di giovedì il governatore ha incontrato quello che restava del gruppo di Forza Italia, mostrandosi sorprendentemente calmo, più dispiaciuto che arrabbiato. E per la prima volta avrebbe manifestato la volontà di un rimpasto. «Si avvicinano le elezioni e serve una giunta tutta politica», avrebbe confidato ai suoi. Anche perché nel mirino di Fratelli d'Italia a questo punto sarebbe finita pure l'assessora alla Salute Daniela Faraoni.
Tra gli alleati più fedeli c'è chi chiede di più. «La giunta andrebbe azzerata - taglia corto Ignazio Abbate, vicecapogruppo Dc all'Ars - serve chiarezza una volta per tutte, non è possibile che a ogni voto segreto emergono tra i 16 e i 18 franchi tiratori. Anche perché - conclude - anche i più fedeli, vedendo l'andazzo, potrebbero pensare di comportarsi da vigliacchi». Parole che rincarano la dose rispetto a quanto già detto da Totò Cuffaro poco prima: «Quanto accaduto in aula lascia attoniti. I falsi amici sono come quei commensali che si sfilano opportunisticamente da un consesso, idealmente condiviso, per aggregarsi ad altro, reputato temporaneamente più vantaggioso». Per Giorgio Assenza, capogruppo di FdI, «noi siamo rimasti in aula e abbiamo sostenuto la manovra. Se altri partiti della maggioranza - continua - invece di scegliere l'Aventino si fossero comportati allo stesso modo, probabilmente sarebbero stati approvati più articoli. Attribuire a Fratelli d'Italia 17 franchi tiratori è una mistificazione della realtà: il fenomeno, infatti, ha evidentemente coinvolto tutti i gruppi di maggioranza, compreso il partito del presidente della Regione». Tra i corridoi di Palazzo dei Normanni c'è chi giura che anche più di un assessore ha votato contro approfittando del voto segreto.
Nelle ultime ore sono entrati in azione i pontieri. Soprattutto per provare a ricucire i rapporti tra Schifani e Galvagno. «Sembra essere impazzito: non è la persona che credevo che fosse», si era sfogato con i suoi fedelissimi il governatore. «Il mio rapporto con il presidente della Regione è ben solido - ha replicato Galvagno ieri - ma se invece in queste ore fosse cambiato, ne prenderò atto solo quando mi verrà manifestato dal diretto interessato». Che ieri è rimasto in silenzio. Il presidente dell’Ars tornare sulle dinamiche d'aula: «Assistere a dei teatrini comici e surreali come la richiesta di numero legale, fatta da un importante deputato di FI, fa riflettere. Probabilmente, se quei deputati che gironzolavano tra i corridoi fossero rientrati, avremmo potuto salvare qualche articolo in più». Tra gli articoli salvati c'è quello che stanzia 3,2 milioni per sanare i debiti dell'Ipab di Paternò, città di Galvagno. Norma che è passata con 32 voti su 35, mentre metà maggioranza era fuori dall'aula, ottenendo quindi il consenso delle opposizioni. E probabilmente figlia anche del controvertice che si è tenuto giovedì mattina a Torre Pisana con Mpa e Sud chiama Nord, i partiti che non hanno risposto all'invito di Schifani di lasciare l'aula. Una convergenza rimarcata da una battuta di Galvagno in aula. Dopo l’intervento di Giuseppe Lombardo (Mpa), al presidente dell'Ars scappa un commento di vero cuore: «Bravo, bellissimo discorso».
La tensione tra le due istituzioni regionali è palpabile. Schifani nella notte si è sfogato con i deputati a lui più vicini. «Gaetano mi aveva chiesto 20 milioni della Finanziaria per interventi a lui cari». Accuse e veti incrociati che, se non troveranno una sintesi in queste ore, rischiano di far diventare il vertice di maggioranza di lunedì pomeriggio un appuntamento infuocato. All'incontro, dopo una prolungata assenza, dovrebbe partecipare pure Raffaele Lombardo, chiamato in causa dagli alleati che rinfacciano agli autonomisti di giocare con più mazzi di carte: federati con Forza Italia, scesi a patti con Galvagno, dialoganti persino con Sammartino sulle nomine di sottogoverno catanese. «Lunedì potrei andare, sto valutando, perché serve un chiarimento definitivo - ammette Lombardo - Noi poco leali? La lealtà è una cosa seria. Noi siamo i più leali e i più penalizzati. Serve corrispondenza tra le responsabilità e il consenso elettorale. E questa proporzione mi pare che sia ampiamente sballata». Un messaggio spedito all'altra metà della coalizione.
Intanto le opposizioni chiedono a Schifani un gesto estremo. «Il presidente - attacca il segretario regionale del Pd Anthony Barbagallo - prenda atto della crisi irreversibile in cui versa il suo governo. Non ci sono più le condizioni per andare avanti, rassegni le dimissioni e liberi i siciliani dalla cappa di clientele di potere che sta opprimendo la Sicilia».