il colloquio
Mulè: «Schifani pacifichi maggioranza e Fi. Io in lizza? Ho preso la residenza...»
Il vicepresidente della Camera: «A furia di parlare di ricandidatura trascuriamo le emergenze del presente. Troppo presto per parlare di 2027. Altro che Groenlandia, stavolta Gasparri mi spedisce in Siberia. Nel congresso del partito alt a culti autocelebrativi»

Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera
Prima, durante e soprattutto dopo gli “Italpress Awards” tutti lo cercano, tutti lo aspettano per parlargli anche per pochi minuti. Qualcuno, più sfrontato, gli chiede: «Ma che vuoi fare in Sicilia?». Domanda alla quale Giorgio Mulè risponde con prudenza: «È troppo presto per parlarne, ma mi ha colpito la genuinità e la spontaneità di questo affetto rispetto a una prospettiva futura che mi lusinga e un po' mi atterrisce». E poi, con un ghigno: «L’unica novità è che stavolta ho la residenza in Sicilia. Da ottobre sono un cittadino di Monreale».
Il vicepresidente della Camera è uno dei mattatori di questa lunga settimana dell’orgoglio italiano (e siciliano) in America. Dal Columbus Day alla cena di gala della Niaf, la National Italian American Foundation, con in mezzo decine di eventi e, soprattutto, di incontri riservati ad alti livelli. Compreso uno nella West Whing, la stanza dei bottoni della Casa Bianca, per «colloqui al primo livello su cybersicurezza e infrastrutture e quindi anche reti, comprese quelle di energia e telecomunicazioni, in cui la Sicilia è davvero l’ombelico del mondo». E poi i colloqui con alcuni uomini chiave dell’amministrazione Trump e think-thank che «dettano l’agenda alla politica americana».
Ma il pensiero, anche nella full immersion a stelle e strisce di Washington DC, resta fisso sul futuro di quel “puntino” che campeggia nel cuore del Mediterraneo. «Gli americani - ricorda Mulè - amano definirsi "the land of opportunity", la terra delle opportunità». Lanciando una suggestione: «In questo momento la Sicilia ha delle grandissime opportunità se sa guardare bene all'America e sa sfruttare ciò che l'America sta chiedendo a territori come il nostro. Però noi alcune volte ci facciamo del male». E così, citando Nicola Fiasconaro, che «ha appena aperto uno shop a New York e ha già la fila davanti all’ingresso». Perché «in America non devi andarci soltanto per una visita istituzionale, perché c'è il Columbus Day, anche se sarebbe il minimo sindacale che non sempre si fa», scandisce il deputato forzista. Sottintendendo magari l’assenza della Regione Siciliana, visto che l’assessore all’Economia, Alessandro Dagnino, fanno sapere da Palermo, è qui «a titolo personale». Ed è qui che Mulè completa il ragionamento: «Come ho detto agli amici italo-americani citando Cristoforo Colombo, “Non potrai mai attraversare l'oceano se non hai il coraggio di perdere di vista la riva”. Vale anche e sopratutto per la Sicilia».
E allora, giusto per restare nelle suggestioni, è pensabile un “make Sicily great again”? Lo sta facendo Renato Schifani, ha il diritto di continuare a provarci con il secondo mandato? «Ce la deve fare lui, ce la deve fare la classe dirigente siciliana. Io - rivendica l’ex direttore di Panorama - mi sono tenuto volontariamente lontano dalle ultime polemiche della politica siciliana, che più che un teatrino, come lo definiva il presidente Berlusconi, somigliano a una farsa. La Sicilia è una regione che politicamente deve essere pacificata. Il presidente Schifani ha questa grande responsabilità».
Anche dentro il partito. «Bisogna parlare, parlarsi. Cosa che ad esempio nel mio partito non è mai avvenuta a livello regionale, non essendoci mai stata una riunione della segreteria siciliana. Adesso è appena arrivata sulla mail la convocazione: c'è il regolamento della prossima elezione della segreteria regionale. Finalmente saremo messi in condizione di dare una forma di partito che attualmente invece è demandata a personalismi. Ci si parla sui giornali, cosa che io eviterei, o peggio ci si parla nei sottoscala, nelle stanze segrete. Oppure attraverso il voto segreto, che è la negazione e l'umiliazione della lealtà nella politica».
Ma come sarà il primo congresso regionale di Forza Italia? «La rotta comincia adesso. Siamo tutti impegnati nel tesseramento. Spero che si arrivi a una soluzione unitaria, non di compromesso, e che si riconosca una figura capace di uscire da personalismi ed culti autocelebrativi». Il vicepresidente della Camera auspica «un dibattito che in questo partito manca, come dimostrano, non le mie prese di posizione, oramai vecchie più di un anno, ma tutto ciò che è accaduto negli ultimi mesi dentro Forza Italia e dentro la maggioranza di governo che è lacerata».
Mulè prova a trovare una nuova prospettiva. «A furia di parlare della ricandidatura di Schifani, stiamo perdendo il tempo del presente. A furia di concentrarsi sul futuro perdiamo ciò che è necessario fare. Quindi cominciamo a fare ciò che è necessario, poi ci accorgeremo di fare ciò che è possibile e rifletteremo serenamente su cosa deve succedere nel 2027. Ma prima c’è quello che si deve fare, e spesso non si fa, oggi». Con un esempio pratico: «L'ultimo caso, quello del film su Biagio Conte. Io feci una polemica sul fatto che l’Ars aveva cancellato quel finanziamento. Mi beccai una reprimenda dall'assessore tecnico Dagnino, stimabilissimo professionista, che sosteneva che per legge la Regione non potesse farsene carico autonomamente. Scopro due giorni fa da un video del presidente che ha “trovato” cinque milioni, come se l’avesse fatto andando per funghi. Evidentemente il problema è risolto».
Brucia ancora la ferita sulla sanità. In mattinata l'ultima telefonata con Giorgio Tranchida, il marito di Cristina Gallo, la prof di Mazara morta per il ritardo dei referti istologici. «È un caso che pretende giustizia. È mancata un’attenzione umana che la politica avrebbe dovuto avere nei confronti di questa famiglia. Mi è molto dispiaciuto perché anche questo è stato vissuto dalla famiglia della professoressa Gallo come un'ulteriore ferita che non meritava di subire».
E, ovviamente, la sicurezza urbana. «A Washington colpisce il fatto che giri la sera e vedi la Guardia nazionale. Allora pensi, ma è il caso di militarizzare parti della Sicilia, ad esempio di Palermo, dopo quello che è accaduto, l'omicidio del povero Paolo Taormina? Un territorio che rischia di diventare terreno di una sorta di guerra civile manifesta se non si interviene in maniera decisa, ad esempio allo Zen. Bisogna avere una capacità di controllo del territorio continua e non soltanto durante i blitz meritori delle forze dell'ordine, dopo i quali all'alba ricomincia ciò che è stato fino prima del tramonto». Per Mulè urge «un'operazione stile Vespri Siciliani o Strade sicure, che l'esercito fa in tutta Italia con dei poteri di vigilanza di pattuglie miste». Ma con «una precondizione per combattere la criminalità: avere opportunità di lavoro anche in questi territori, soprattutto qui».
Tutto questo è possibile senza un ricambio generazionale della politica siciliana? «No, perché c'è una conservazione del potere che molte volte coincide con una conservazione del consenso. Il fatto di dover rompere, perché va rotta questa barriera, coincide nella capacità di non solo presentarsi, ma di essere diversi. E una bella mano - ricorda l’esponente forzista - possono darcela anche i giovani italo-americani di ultima generazione, perché possono venire in Sicilia a esportare le loro conoscenze, a piantare quei semi di cui parlavamo prima».
Ricambio generazionale, solidarietà, sanità efficiente e umana, sicurezza. Sembra quasi la prima bozza di un programma elettorale. Ma Mulè non ci casca: «Non mi parli di candidatura perché ci manca che, dopo avermi spedito in Groenlandia, Gasparri mi mandi in Siberia…».