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Il documentario

Toni Negri, il padre rivoluzionario

Nel suo documentario “Toni mio padre” Anna Negri fa i conti con l’eredità privata del filosofo marxista che fu anche deputato

Gabriele Costa

26 Novembre 2025, 05:30

Toni Negri, il padre rivoluzionario

«Io e la mia famiglia siamo stati buttati in prima pagina. Chiunque mi vedesse vedeva mio padre prima di me. Il vero coraggio è stato quello di affrontarlo come genitore». Lo confessa Anna Negri nel suo intenso e sofferto documentario “Toni mio padre”, a Palermo giovedì prossimo, in cui fa un ritratto pubblico e privato di un personaggio che è stato protagonista discusso della politica italiana nel ventennio Sessanta-Settanta e ideologo del marxismo operaista.

Girato tra Venezia, la Sardegna e Parigi, il film intreccia materiali eterogenei – archivi di famiglia, interviste, fotografie, filmati – per dar vita a un racconto stratificato, in cui biografia e autobiografia, memoria privata e storia ufficiale, ideologia e affetti si sovrappongono in un corpo a corpo emotivo e dialettico.

Per quanti anni ha maturato dentro di sé il desiderio, anzi la necessità, di fare questo film?

«Ho scritto un libro sulla mia vita di quegli anni con mio padre e poi per dieci anni ho provato a fare un film senza riuscirci. È un periodo molto difficile di cui parlare, ho l’amaro in bocca. Quando la salute di mio padre è peggiorata ho capito che se non avessi fatto qualcosa per salvare la sua memoria avrei rimpianto l’occasione, perché lui ha avuto una vita eccezionale. Ci ho messo quattro anni di lavoro, tra riprese e montaggio. Il mio amico Stefano Savona mi ha dato una mano con il trattamento, e ci siamo resi conto che era importante mettermi nell’inquadratura, nel fotogramma con mio padre. Mettermi sul lo stesso livello, senza avere una posizione gerarchica come regista. Uscendo dalla mia zona di comfort dietro la camera ho fatto uscire anche mio padre dalla sua».

Il suo non è un film ideologico, ma un profondo confronto generazionale. Quanto le è costato parlare pubblicamente di conflitti così personali?

«Io e mio padre siamo simboli di due generazioni a confronto: ho capito che non ci capivamo perché lui ha vissuto la propria gioventù in un mondo in cui tutto era possibile, la mia generazione aveva davanti l’impossibile, soprattutto dopo il suo arresto. Gli sono molto grata per l’amore che mi ha dato. Ha tentato di darmi delle risposte prima di andarsene, anche se con un linguaggio che non riuscivo a capire».

Suo padre è stato un intellettuale di rilievo ma anche molto discusso.

«Guardando la risonanza che ha avuto questo film, penso che alla gente di adesso manchi quella dimensione ideale, la dimensione in cui ci si sentiva impotenti di fronte al mondo. Mio padre ha contribuito a capirlo da un punto di vista anche politico. Non penso che sia stato un cattivo padre o un cattivo maestro. Il film ha veramente tanti livelli e riesce a tenere insieme dei ragionamenti complessi che escono dalla dualità cattivo-buono, è un grande romanzo familiare dove la storia con la s maiuscola è entrata nella racconto collettivo e si è declinata in posizioni affettive, psicologiche. I filmati che ho presentato sono importanti perché fanno vedere da un punto di vista interno quelle lotte che la stampa ha presentato solo sotto l’aspetto istituzionale. Ricordiamo che hanno messo su un processo per un uomo che è stato assolto da tutti i capi di accusa. Si vede anche come questa battaglia mediatica abbia funzionato»