Medioriente
Il diplomatico Usa Witkoff arriva in Egitto, Hamas apre al disarmo
Sale il livello dei negoziati. Trump: «Una reale chance di pace»

A Sharm el-Sheikh la trattativa sul futuro di Gaza è proseguita anche nel secondo anniversario del 7 ottobre, data impressa nella memoria collettiva israeliana. Le prime indicazioni dei mediatori, rilanciate anche dalla fazione palestinese, parlano di un clima positivo nei colloqui indiretti con Israele per cercare un punto di convergenza sul piano Trump.
Dopo due round tecnici, l’attenzione ora si sposta sull’imminente intervento di negoziatori di alto livello, tra cui l’inviato statunitense Steve Witkoff e il premier del Qatar, mentre la Casa Bianca continua a puntare su un’intesa in tempi brevi. La road map verso la pace resta comunque irta di ostacoli.
Dalle informazioni trapelate dal vertice egiziano, Hamas sarebbe disposto al disarmo ma rifiuta la designazione di Tony Blair alla guida di un’amministrazione internazionale della Striscia. Restano aperti anche i capitoli dei tempi e delle modalità del ritiro dell’IDF e della lista dei detenuti palestinesi da includere nello scambio con gli ostaggi.
“Hamas ha accettato cose molto importanti” e anche “Netanyahu è stato molto positivo”, ha affermato Trump illustrando la sua iniziativa in 20 punti per mettere fine a due anni di guerra. “Tutte le parti spingono per un accordo”, ha fatto eco un portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, pur mantenendo cautela sull’esito finale.
Dal fronte palestinese sono filtrati ulteriori elementi: rispetto alle richieste americane, il movimento islamista direbbe sì a “consegnare le sue armi a un comitato egiziano-palestinese”. Rimane invece la netta bocciatura dell’ipotesi di un “comitato di transizione internazionale” guidato dall’ex premier britannico Blair, figura invisa in molti Paesi arabi per il sostegno alla guerra di George Bush in Iraq.
Per la futura “gestione di Gaza”, Hamas immagina di “negoziare con l’ANP”, un canale interno palestinese che correrebbe in parallelo alla trattativa indiretta con Israele. Eppure Benyamin Netanyahu ha ribadito più volte che l’organismo presieduto da Abu Mazen non è ritenuto un interlocutore credibile.
Anche lo scambio di prigionieri appare complesso. La fazione palestinese, pur dicendosi disposta in linea di principio a rilasciare tutti gli ostaggi in un’unica soluzione, chiede un cessate il fuoco preventivo “per recuperare” i rapiti, “la cui liberazione avverrebbe entro una settimana”. Non è chiaro se abbandonerà la pretesa, considerata inaccettabile da Israele, di liberare detenuti di spicco condannati all’ergastolo, tra cui il “Mandela palestinese” Marwan Barghouti.
Sul ritiro delle Forze di difesa israeliane, fonti al Cairo riferiscono che per Hamas dovrà essere “completo” una volta liberati gli ostaggi, mentre Israele immagina un disimpegno graduale e il mantenimento di presidi in alcune zone cuscinetto.
Di tutto ciò si discuterà domani a Sharm, con i mediatori egiziani e qatarini — guidati dal premier Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al-Thani — affiancati da una delegazione turca capitanata dal capo dell’intelligence Ibrahim Kalin, e per gli Stati Uniti da Witkoff e Jared Kushner, genero del presidente e figura con solide relazioni nella regione.
Proprio Trump, incontrando a Washington il premier canadese Mark Carney, ha ribadito l’esistenza di una “reale possibilità di pace”, assicurando che, una volta raggiunta l’intesa, “faremo tutto il possibile per far sì che tutti lo rispettino”. Il pressing esercitato finora, tanto su Hamas quanto sull’amico Netanyahu, suggerisce la volontà del tycoon di intestarsi un grande accordo in Medio Oriente, riattivando il percorso di normalizzazione tra Israele e i Paesi della regione sulla scia degli Accordi di Abramo, a partire dall’Arabia Saudita, l’altro grande alleato di Washington in un quadrante sempre più turbolento.