la guerra
Da Barghouti a Saadat, chi sono i sette palestinesi che Israele non vuole liberare e perché su questi nomi il processo di pace rischia di arenarsi
Una ristretta lista di prigionieri di alto profilo è al centro delle trattative in corso in Egitto per raggiungere un’intesa su Gaza

Una ristretta lista di prigionieri palestinesi di alto profilo è al centro delle trattative in corso in Egitto per raggiungere un’intesa sulla pace a Gaza. In gioco non c’è soltanto il cessate il fuoco: l’eventuale scarcerazione di queste figure avrebbe ripercussioni politiche immediate e rilevanti, sia sul futuro della leadership palestinese sia sugli equilibri interni d’Israele.
Secondo i media israeliani, Tel Aviv avrebbe posto il veto su alcuni nomi, a partire dal primo indicato da Hamas nei negoziati di Sharm el Sheikh: Marwan Barghouti, 66 anni, spesso definito il “Mandela palestinese”, dirigente di spicco di Fatah — il partito di Yasser Arafat e dell’attuale presidente dell’Anp, Abu Mazen — condannato, a vario titolo, per 33 attentati attribuiti al braccio armato dell’organizzazione durante la seconda Intifada del 2000. Arrestato nel 2002, sta scontando cinque ergastoli più 40 anni. «Non ci sconfiggerete», gli ha urlato lo scorso agosto in una visita in carcere — giudicata da più parti una provocazione — il ministro dell’ultradestra Itamar Ben Gvir, aggiungendo: «Perché chi prova ad attaccare gli israeliani, noi lo cancelliamo». Il suo nome è considerato una «linea rossa» non solo dai falchi israeliani: lo stesso premier Benyamin Netanyahu lo ritiene «un simbolo del terrorismo». Sul versante palestinese, molti osservatori ritengono che un’eventuale liberazione innescherebbe un terremoto nell’Autorità nazionale palestinese, con un possibile passo indietro di Abu Mazen e la nomina di Barghouti alla presidenza, ruolo per il quale risulta in testa ai sondaggi anche rispetto ai leader di Hamas superstiti. La moglie, Padwa, è partita da Ramallah diretta al Cairo, un segnale che qualcosa si sta muovendo.
Veto israeliano anche su Ahmad Saadat, leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, figura al centro del braccio di ferro tra Arafat e Tel Aviv che sfociò nell’assedio israeliano alla sede dell’Anp a Ramallah nel 2002. Incarcerato in Israele dal 2006, il 70enne sta scontando 30 anni per l’assassinio del ministro israeliano Rehavam Zeevi, ucciso nel 2001.
Hamas, dal canto suo, chiede la scarcerazione di propri esponenti. Tra questi Abdullah Barghouti, 53 anni, noto come “l’ingegnere” per la sua competenza negli esplosivi: su di lui pesa la condanna più pesante mai inflitta da un tribunale israeliano, 67 ergastoli, per una serie di attentati dinamitardi che causarono decine di morti civili negli anni Duemila, quando guidava l’ala militare del movimento in Cisgiordania. Nella stessa direzione va il nome di Ibrahim Hamed, 60 anni, ex comandante delle brigate Qassam in Cisgiordania, ritenuto responsabile della morte di quasi cento israeliani in diversi attacchi durante la seconda Intifada, e anch’egli condannato a numerosi ergastoli. Nella lista avanzata da Hamas figurano inoltre Abbas al-Sayyid e Hassan Salameh: il primo condannato a 35 ergastoli, il secondo a 46, entrambi accusati per le stragi negli hotel e sugli autobus. Vi compare anche Nael Barghouti, il prigioniero politico palestinese da più tempo in custodia in Israele, arrestato per la prima volta nel 1978.