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il retroscena

Colpo diplomatico di The Donald, ora sogna la storia

Il presidente ha raggiunto il più grande risultato diplomatico del suo secondo mandato, la prova per accreditarsi come pacificatore e spianargli la strada verso il Nobel per la Pace

Redazione La Sicilia

09 Ottobre 2025, 22:03

22:52

Colpo diplomatico di The Donald, ora sogna la storia

Donald Trump ha conseguito il più significativo risultato diplomatico del suo secondo mandato e, forse, dell’intera permanenza alla Casa Bianca. Il successo in Medio Oriente rappresenta per lui la prova definitiva per accreditarsi come mediatore e pacificatore, spianandogli la strada verso quel Premio Nobel per la Pace a lungo ambito, ma difficilmente alla sua portata, almeno per quest’anno. Qualora lo ottenesse, sarebbe il quinto presidente degli Stati Uniti a riceverlo — oltre al vicepresidente ambientalista Al Gore e all’allora segretario di Stato Henry Kissinger — e certamente il più discusso.

Resta però il rischio che, come spesso accade nella regione, molto possa incrinarsi nei prossimi giorni e negli anni a venire. L’intesa annunciata mercoledì sera potrebbe rivelarsi l’ennesima tregua effimera in un conflitto iniziato con la nascita di Israele nel 1948 e mai davvero concluso. Come ha osservato Thomas Friedman in un’analisi sul New York Times, mantenere coesa la pace nel lungo periodo sarà “come cercare di risolvere un cubo di Rubik mentre i pezzi stessi si sgretolano”. Da qui l’interrogativo: l’amministrazione Trump avrà ogni giorno l’attenzione, l’energia e la concentrazione necessarie per tenere in carreggiata un equilibrio tanto fragile?

Per ora il tycoon e la sua squadra di negoziatori — la coppia sui generis formata dal genero Jared Kushner, già architetto degli Accordi di Abramo e di affari miliardari nel Golfo, e dall’inviato ufficiale Steve Witkoff — si godono il trionfo.

Nel frattempo, ci si interroga su come “The Donald” sia riuscito a passare dall’idea, al limite del caricaturale, della “Riviera di Gaza” a una proposta articolata in 20 punti capace di convincere tanto Israele quanto Hamas.

Determinante è stato il coinvolgimento dei Paesi arabi: non solo Egitto e Arabia Saudita, ma soprattutto Qatar e Turchia, che esercitano un’influenza decisiva sul gruppo militante palestinese. Giocare la carta Tony Blair si è rivelato un colpo da maestro del presidente, forse suggerito dal tandem Kushner-Witkoff.

Non meno importante il fatto che l’Iran e la sua rete — Hezbollah, gli Houthi, le milizie sciite in Iraq — abbiano incassato un colpo durissimo da Israele, con il supporto degli Stati Uniti, nella cosiddetta “Guerra dei 12 giorni”, riducendo sensibilmente la capacità di Teheran di interferire e sabotare i colloqui.

Cruciale è stato anche il cambio di approccio verso “Bibi”. Dall’assegno in bianco a Israele si è passati all’irritazione dopo l’attacco contro i vertici di Hamas in Qatar: quello il punto di svolta.

Quando Trump ha ricevuto Netanyahu alla Casa Bianca il 29 settembre per presentare il suo piano di pace, lo avrebbe costretto a telefonare al premier del Qatar dallo Studio Ovale per porgere le proprie scuse. Si racconta che il presidente abbia perfino tenuto la cornetta durante l’intera conversazione e che un funzionario di Doha abbia vigilato affinché il premier israeliano non si discostasse dal copione concordato.

Inoltre, l’inquilino della Casa Bianca ha sfruttato la compattezza del fronte arabo contro l’azione israeliana per persuadere tutti ad accettare l’intesa.

Infine, in questa tornata negoziale Trump si è esposto in prima persona più del solito, portando in dote il suo stile eterodosso e affidandosi a pochi collaboratori di stretta fiducia, all’istinto e a una incrollabile fede nel potere delle relazioni personali.