Da New York a Los Angeles, passando per la capitale Washington e per le città nel mirino dell’amministrazione su migranti e criminalità, milioni di statunitensi sono scesi in strada per contestare Donald Trump. “No kings”, “non vogliamo re”: questo lo slogan apparso su decine di migliaia di cartelli e striscioni durante oltre 2.500 marce contro quello che gli organizzatori definiscono “l’autoritarismo” del presidente americano. “Il presidente pensa che il suo potere sia assoluto”, si legge sul loro sito. “Ma in America non abbiamo re e non ci tireremo indietro di fronte al caos, alla corruzione e alla crudeltà”. L’onda di mobilitazioni ha oltrepassato l’Atlantico, con iniziative di solidarietà anche a Berlino, Madrid, Roma e Firenze.
The Donald non è apparso turbato da questa imponente partecipazione di massa — a giugno erano stati in 5 milioni, di cui 1 milione solo nella capitale — e ha replicato di “non essere un re”.
Democratici e indipendenti hanno sostenuto la protesta sui social e in piazza. A Washington è intervenuto Bernie Sanders: “Nel corso della storia di questo Paese, persone hanno combattuto e sono morte per preservare la nostra democrazia. Non permetteremo a Trump o a chiunque altro di portarcela via”. Anche Hollywood si è schierata. Robert De Niro ha diffuso un breve video esortando gli americani a unirsi per “alzare la voce in modo non violento”. “Abbiamo avuto due secoli e mezzo di democrazia... spesso impegnativa, a volte caotica, sempre essenziale”, ha affermato la star. “Ora abbiamo un aspirante re che vuole togliercelo: Re Donald I”. In piazza anche Jane Fonda, Kerry Washington, John Legend, Alan Cumming e altri volti noti.
Sul fronte opposto, il Grand Old Party ha bollato la mobilitazione come “il raduno di chi odia l’America”, mentre sindaci e governatori repubblicani — dal Kansas al Texas — hanno messo in stato di allerta la Guardia Nazionale. “I soldati servono a contenere una manifestazione legata ad Antifa”, ha dichiarato un esponente del Lone Star State, riferendosi al movimento della sinistra radicale che Trump ha indicato settimane fa come gruppo terroristico. Anche il governatore della Virginia, Glenn Youngkin, ha allertato le truppe.
Intanto, sulla presenza dei militari nelle città prosegue lo scontro istituzionale su Chicago e in Illinois. Dopo che una corte d’appello federale ha confermato la sospensione della Guardia Nazionale in città e nell’area metropolitana, il presidente si è rivolto alla Corte Suprema chiedendo l’autorizzazione a militarizzare i centri a guida democratica, come già avvenuto a Washington, Portland e Los Angeles. Nel ricorso depositato venerdì dal Dipartimento di Giustizia, il procuratore generale D. John Sauer ha sostenuto che i soldati sono necessari nell’area di Chicago per “prevenire rischi continui e intollerabili per la vita e la sicurezza” degli agenti federali impegnati nell’offensiva contro i migranti voluta dal presidente.