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Quando rubano l'arte: i grandi misteri dei capolavori scomparsi, dal furto della Gioconda nel 1911 in poi
Dai primi anni del Novecento, il patrimonio artistico mondiale è stato più volte bersaglio di audaci sottrazioni
L'attore Alessandro Preziosi in una foto di scena interpreta Vincenzo Peruggia nel film 'L'uomo che rubo' la Gioconda'
Dai primi anni del Novecento, il patrimonio artistico mondiale è stato più volte bersaglio di audaci sottrazioni, dai musei più prestigiosi ai luoghi più appartati. Il colpo più celebre resta quello della Gioconda, trafugata nel 1911 da Vincenzo Peruggia, ex dipendente del Louvre che, con un gesto tanto semplice quanto clamoroso, fece sparire il capolavoro di Leonardo da Vinci. Due anni più tardi, il dipinto riemerse a Firenze, quando Peruggia tentò di venderlo, convinto di restituire all’Italia un’opera “rubata” durante le guerre napoleoniche. Da allora il volto della Monna Lisa è divenuto un’icona di fascino e mistero.
Non tutte le storie, però, hanno avuto un epilogo felice. Alcune opere si sono dissolte nel buio, come la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Caravaggio, sottratta a Palermo nella notte del 17 ottobre 1969. L’Oratorio di San Lorenzo custodiva uno dei Caravaggio più intensi, realizzato durante la sua drammatica fuga da Napoli: una grande tela scura, vibrante, troppo ingombrante per sparire senza complicità. Anni dopo, i pentiti di mafia avrebbero raccontato che fu Cosa Nostra a commissionare il furto. Da allora, solo ipotesi: la tela sarebbe stata venduta, forse tagliata, forse bruciata. C’è chi giura di averne visto frammenti in una stalla, altri parlano di acido e oblio. L’Italia l’ha trasformata nel simbolo del “patrimonio negato”, la ferita più profonda della nostra storia artistica recente.

Nel 1990 un altro colpo scosse il mondo: all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, due uomini travestiti da poliziotti si presentarono al personale e, in un’ora, portarono via 13 opere di valore inestimabile, tra cui il “Concerto a tre” di Vermeer e “La tempesta sul mare di Galilea” di Rembrandt. Nonostante indagini serrate e una ricompensa milionaria, quei capolavori non sono mai stati recuperati: le cornici vuote, ancora appese, restano come ferite aperte nella memoria culturale americana.
Un grave attacco colpì anche la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma il 19 maggio 1998, quando sparirono due opere di Vincent van Gogh (“Il Giardiniere” e “L’Arlésienne”) e una di Paul Cézanne (“Le Cabanon de Jourdan”). I dipinti furono ritrovati il 6 luglio 1998.
Nel 2004, a Oslo, il Munch Museum fu teatro di una rapina spettacolare: “L’Urlo” e “La Madonna”, due icone assolute di Edvard Munch, vennero asportate e recuperate solo nel 2006, purtroppo danneggiate dall’umidità patita durante la detenzione. Era il secondo colpo subito dalla celebre immagine di Munch, già rubata con modalità lampo nel 1994.
Il 2015 vide un’azione quasi militare al Museo di Castelvecchio di Verona: tre uomini armati sottrassero 17 dipinti, tra cui capolavori di Rubens e Tintoretto. Sembrava il delitto perfetto, ma la refurtiva fu rinvenuta sei mesi più tardi in Ucraina, a conferma di quanto la criminalità organizzata sia sempre più intrecciata al mercato nero dell’arte.
Neppure il Van Gogh Museum di Amsterdam fu risparmiato: nel 1991 due ladri portarono via 20 opere, poi abbandonate appena 35 minuti dopo per un guasto all’auto di fuga, un dettaglio rivelatore delle complessità e dei rischi di simili operazioni.
In Italia, nel 1997, un’altra sparizione segnò la cronaca culturale: dalla Galleria d’Arte Ricci Oddi di Piacenza scomparve il “Ritratto di Signora” di Gustav Klimt, uno dei rari dipinti in cui l’artista sovrappone due volti. Un furto senza segni di effrazione che continua ancora oggi a suscitare interrogativi.
Non solo singole opere o quadri preziosi: interi patrimoni sono stati devastati in contesti di guerra e caos. Tra il 2003 e il 2014, in Iraq, i musei archeologici di Baghdad e Mosul subirono ripetuti saccheggi durante i conflitti e l’avanzata dell’Isis. Milioni di reperti furono rubati, distrutti o dispersi per sempre: una perdita incalcolabile per la storia dell’umanità.
Anche la finzione ha raccontato al cinema il furto più audace. Tra i capisaldi del genere, “Topkapi” (1964) occupa un posto di rilievo come uno dei titoli che hanno codificato il heist movie. Diretto da Jules Dassin e tratto dall’omonimo romanzo di Eric Ambler, il film immagina un colpo clamoroso ispirandosi a un oggetto reale: il celebre pugnale tempestato di smeraldi esposto nella tesoreria del Palazzo di Topkapi, a Istanbul. La trama segue l’azzardato piano orchestrato dall’avventuriera Elizabeth Lipp (Melina Mercouri) e dal metodico professionista Walter Harper (Maximilian Schell), decisi a sottrarre il prezioso pugnale appartenuto al sultano Mehmet I. Per non lasciare tracce riconducibili a loro, reclutano un gruppo di dilettanti altamente specializzati: l’esperto di elettronica Cedric Page (Robert Morley), il forzuto Fisher (Jess Hahn) e l’agile acrobata Giulio, detto “la mosca umana” (Gilles Ségal). A complicare i piani interviene l’inconsapevole e maldestro Arthur Simpson (Peter Ustinov), la cui interpretazione valse l’Oscar come miglior attore non protagonista. Pur interamente di finzione, Topkapi contribuì ad accrescere la fama internazionale del pugnale e del Palazzo stesso, trasformandosi in un involontario volano per il turismo in Turchia.