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IL CASO

Eurovision 2026, ammesso Israele e tre Paesi si ritirano: la frattura che scuote l’Europa della musica

In un’assemblea tesa come un finale al photofinish, l’EBU conferma Israele in gara a Vienna: i broadcaster di Paesi Bassi, Irlanda e Spagna annunciano il passo indietro. Regole elettorali più rigide, pressioni politiche ai massimi, un calendario già fissato ma una platea divisa.

Alfredo Zermo

04 Dicembre 2025, 19:46

Eurovision 2026, la frattura che scuote l’Europa della musica

All’inizio è solo un sussurro nei corridoi di Ginevra, poi diventa un boato: “Israele è dentro”. Nel giro di poche ore, tre Paesi — i Paesi Bassi, l’Irlanda e la Spagna — annunciano che non ci saranno. Il 70° Eurovision Song Contest non aveva ancora acceso le luci di Vienna e già si ritrova a fare i conti con una scelta che rimescola carte artistiche, equilibri diplomatici e regole del gioco. La European Broadcasting Union (EBU) ha deciso: la partecipazione di Israele all’edizione 2026 è confermata, insieme a una stretta sulle norme di voto e di promozione dei brani. Secondo più fonti, la discussione si è chiusa senza un voto formale; la spaccatura però è reale e profonda, e rischia di segnare la più ampia defezione di sempre nella storia del contest.

Il punto fermo: Israele a Vienna 2026

La decisione maturata nella Assemblea generale dell’EBU a Ginevra oggi conferma l’ammissione di Israele a Eurovision 2026. Diverse testate internazionali riportano che i membri EBU hanno optato per non tenere un voto sull’ammissibilità, scegliendo invece di approvare un pacchetto di riforme regolamentari per “mettere in sicurezza” integrità e neutralità del concorso. Fra le novità: dimezzato il tetto dei voti per metodo di pagamento (da 20 a 10), ritorno delle giurie professionali anche nelle semifinali, e un codice di condotta aggiornato per scoraggiare le campagne di promozione “sproporzionate”, in particolare se sostenute da governi o agenzie governative. Violazioni potranno comportare sanzioni.

Sono misure che rispondono alle frizioni dell’ultima stagione, quando accuse di “interferenze” e promozioni aggressive avevano avvelenato il clima in vista della finale di Basilea 2025, vinta dall’austriaco JJ e chiusa con Israele al secondo posto nel televoto complessivo.

La crepa: tre ritiri annunciati, altri Paesi in bilico

La controffensiva è arrivata immediatamente. I Paesi Bassi (emittente AVROTROS), l’Irlanda (RTÉ) e la Spagna (RTVE) hanno comunicato il ritiro dalla competizione 2026 alla notizia della conferma di Israele. Le motivazioni, pur con sfumature diverse, toccano lo stesso nervo: trasparenza del processo, neutralità del concorso e compatibilità con i propri valori editoriali. La spagnola RTVE ha criticato l’opacità del procedimento; AVROTROS ha definito la partecipazione “incompatibile” con la propria linea; RTÉ ha deciso di non trasmettere l’evento. Altri emittenti — in passato Islanda e Slovenia, per esempio — avevano ventilato scenari simili, lasciando intendere che la lista dei ripensamenti potrebbe allungarsi.

Non meno rilevante il quadro fuori dall’Europa dell’UE: l’australiana SBS aveva già segnalato che non avrebbe aderito a un eventuale boicottaggio, pur seguendo con attenzione gli sviluppi. Un segnale di come la frattura attraversi confini geopolitici e culturali, con Austria, Germania e altri attori che, in varie fasi del dibattito, hanno sostenuto la permanenza di Israele nella gara.

Il nodo del “voto che non c’è”: trasparenza, procedure, numeri

Una parte del dibattito pubblico si è concentrata su un punto tecnico, ma decisivo: c’è stato un voto sull’ammissibilità di Israele? Fonti qualificate descrivono una dinamica diversa: nessun voto finale sull’esclusione, bensì l’approvazione di nuove regole e la conferma di fatto della partecipazione. È la versione riportata da agenzie e testate di primaria affidabilità. In parallelo, altre ricostruzioni giornalistiche hanno circolato indicando un conteggio di preferenze — 738 favorevoli, 265 contrari, 120 astenuti — attribuito alla platea EBU. Al momento, dai documenti e comunicati consultabili e dalle principali fonti internazionali, non emergono conferme ufficiali su un voto numericamente quantificato in questi termini. In assenza di un verbale pubblico, è prudente segnalare la discrepanza tra le diverse ricostruzioni e attenersi ai fatti confermati: conferma della partecipazione, nessun voto formale reso pubblico, nuove regole approvate.

Perché la decisione pesa più del solito

L’Eurovision è sempre stato anche un barometro del clima europeo. Nel 2022 l’EBU bandì la Russia dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina: un precedente spesso richiamato da chi chiedeva ora l’esclusione di Israele. Ma il quadro non è sovrapponibile e la stessa EBU ha ribadito in più occasioni l’impegno a mantenere il concorso su un piano culturale e non politico, pur riconoscendo la “diversità senza precedenti di vedute” tra i membri sull’argomento. Anche per questo si era ipotizzato, in autunno, un voto straordinario prima poi rinviato alla sessione invernale, con il dibattito spostato a dicembre. La discussione di oggi è il punto di arrivo di quel percorso.

Dietro le quinte, si è ragionato perfino di opzioni “ibridate”, come la partecipazione sotto bandiera neutrale o un ritiro “volontario” dell’emittente israeliana KAN: ipotesi circolate sulla stampa specializzata e mai formalizzate.

Cosa cambia per gli artisti e per il voto: istruzioni per l’uso

Le riforme approvate non sono cosmetiche; cambiano l’ecosistema del contest.

  1. Tetto ai voti: il massimo di preferenze per metodo (online, sms, chiamate) scende a 10, in un’ottica di “partecipazione più ampia e meno distorsioni”.
  2. Giurie più robuste: tornano anche in semifinale, con 7 giurati per Paese (non più 5), inclusa una quota 18-25 per riflettere il pubblico giovane. Pesi più equilibrati tra televoto e giurie.
  3. Promozione sotto osservazione: aggiornate le istruzioni e il Codice di condotta per disincentivare campagne “sproporzionate”, soprattutto se sostenute da terzi come governi o agenzie statali. Previste sanzioni in caso di tentativi d’influenza indebita.

Sono interventi disegnati per rispondere alle polemiche dell’ultimo anno — quando l’onda lunga del conflitto in Medio Oriente aveva rischiato di travolgere il concorso — e segnano la volontà di ricondurre Eurovision a un perimetro di competizione musicale, pur in un contesto che resta altamente politicizzato.

Il calendario è già scritto: Vienna 12-14-16 maggio 2026

Al netto del terremoto politico-mediatico, il “cantiere Vienna” corre. Dopo il trionfo dell’austriaco JJ a Basilea 2025 con “Wasted Love”, l’ORF e l’EBU hanno annunciato da tempo la capitale austriaca come Host City. Location principale: la Wiener Stadthalle. Date chiave: semifinali il 12 e 14 maggio, finale il 16 maggio 2026. È la terza volta di Vienna (dopo 1967 e 2015): una cornice collaudata per un’edizione che si annuncia tesa.

Cosa succede adesso: deadline, numeri e possibili scenari

  1. Deadline di partecipazione: i broadcaster hanno tempo fino a metà dicembre 2025 per confermare o ritirare la propria adesione senza penali; tale scadenza era stata estesa proprio per consentire un confronto più ampio.
  2. Effetto domino: i ritiri di Paesi Bassi, Irlanda e Spagna potrebbero non essere gli ultimi. Allo stesso tempo, diversi membri — tra cui la Danimarca — hanno segnalato che non avrebbero votato per un’esclusione e non intendono ritirarsi, a condizione di un quadro “apolitico” e sicuro.
  3. Perimetro del boicottaggio: alcune analisi evocano il rischio del “più grande boicottaggio” nella storia dell’evento; una variabile che inciderà su audience, sponsor e prestigio. La traiettoria, però, dipenderà dalle scelte delle singole emittenti nelle prossime settimane.

La partita simbolica: tra precedenti e doppie misure

Il precedente Russia 2022 resta la pietra di paragone. Per molti, l’esclusione allora fu un atto di coerenza politica; per altri, l’Eurovision non può trasformarsi in un’arena sanzionatoria. In mezzo, l’EBU — organizzazione di servizio pubblico con missione culturale — a bilanciare diritti e sensibilità dei membri, libertà artistiche e reputazione di neutralità. È in questo spazio che s’inseriscono le nuove regole: limitare le leve “extra-artistiche” (dalle campagne massive ai sostegni istituzionali) per provare a riportare l’attenzione su canzoni e performance.

Israele, KAN e la linea dell’EBU

Da Gerusalemme, la posizione di KAN è rimasta costante: “rispetto delle regole” e rivendicazione del carattere culturale del contest. L’EBU, dal canto suo, ha ripetuto di “comprendere le preoccupazioni” dei membri, ma di voler tutelare il concorso da interferenze politiche, con l’obiettivo di garantire condizioni di gara imparziali. Al centro,”un’assoluta priorità: fiducia e trasparenza del voto”. Sono messaggi ribaditi lungo l’autunno, fino alla stretta regolamentare di fine novembre.

Le domande che restano

  1. Quanti e quali Paesi seguiranno la strada del ritiro? Al momento sono tre quelli che hanno formalizzato l’addio, ma l’elenco è fluido e dipende anche dalle pressioni delle rispettive opinioni pubbliche.
  2. Le nuove regole saranno sufficienti a depotenziare le polemiche? Il ritorno delle giurie e la stretta sulla promozione sono passi significativi, ma non risolvono il punto politico della presenza di Israele nella line-up.
  3. Cosa accadrà se il boicottaggio intaccherà gravemente ascolti e sostenibilità economica? L’EBU dovrà misurare l’effetto su sponsor, diritti e reputazione del brand “Eurovision”, bilanciando la tutela del format con le diversità di vedute tra i membri.

Tra palco e realtà: l’arte che resiste

Nell’anno in cui Vienna si prepara a celebrare i 70 anni della manifestazione, restano scolpiti i volti e le voci — da ABBA a Céline Dion, passando per icone recenti — che hanno fatto del contest una passerella pop mondiale. JJ, vincitore 2025, è l’ultimo simbolo di un’Europa musicale che mescola tradizione e club culture. Ma a fare la storia, questa volta, non è (solo) la musica: sono piuttosto i confini della sua agibilità in tempi di conflitti e polarizzazioni. Eurovision regge l’urto e rilancia con più regole e meno ambiguità. Basterà? La risposta, come sempre, arriverà sul palco — e nei salotti di milioni di telespettatori — le sere del 12, 14 e 16 maggio 2026.