LE TENSIONI INTERNAZIONALI
Sottomarini nell’Artico, jet tedeschi in Polonia, manovre finlandesi: la frontiera europea si fa più tesa
Dalle profondità gelide del Nord Atlantico al cielo baltico, l’Europa alza il livello di allerta mentre da Mosca arriva un avvertimento: “se l’Europa sceglie la guerra, Mosca potrebbe non avere più nessuno con cui trattare”. E intanto Londra e Oslo uniscono le flotte, Helsinki schiera fino a 15 mila uomini, Berlino invia i suoi Eurofighter in Polonia.
La prima luce artica è un grigio latteo quando i sonar “cantano” nell’Atlantico del Nord: un’eco lunga, metallica, che somiglia a un respiro trattenuto. A centinaia di metri sotto la superficie corrono i cavi che portano internet e finanza; sopra, le sagome d’acciaio di fregate e pattugliatori. Più a sud, sulla pista di Malbork, in Polonia, i Eurofighter tedeschi scaldano i motori. E a est, nei boschi di Vuosanka, riservisti e jaeger finlandesi si muovono tra le betulle imbiancate nel quadro di “Northern Axe 25”, un’esercitazione che cambia pelle alla postura militare di Helsinki. In mezzo, un messaggio che rimbomba da Mosca: se l’Europa imbocca la via dello scontro, “si potrebbe arrivare rapidamente a una situazione in cui non c’è più nessuno con cui negoziare”, dice Vladimir Putin.
Un avviso dal Cremlino: negoziati congelati se l’Europa entra in guerra
Il tempo della diplomazia scorre su un filo sottile. Negli ultimi giorni, mentre emissari statunitensi andavano e venivano dal Cremlino senza sbloccare l’impasse, Putin ha alzato la voce: la Russia “non cerca la guerra”, ma se “l’Europa dovesse iniziarla, siamo pronti adesso”, ha scandito. Poi l’affondo: in caso di conflitto aperto, Mosca “potrebbe non avere più nessuno con cui negoziare”, una frase che suona come un sigillo a un gelo politico già avanzato.
L’avvertimento arriva mentre il leader russo conferma obiettivi massimalisti in Donbass e ammette che il pacchetto negoziale proposto da Washington resta lontano dall’accettazione russa. La sensazione, condivisa in varie capitali, è che Mosca voglia tenere l’Europa fuori dal tavolo e trattare direttamente con gli Stati Uniti, relegando Bruxelles al ruolo di spettatore interessato.
Artico, nuova trincea blu: Regno Unito e Norvegia mettono insieme le flotte
Se c’è un luogo dove la geografia conta ancora più della retorica, è il Nord Atlantico. Qui Regno Unito e Norvegia hanno annunciato pattugliamenti navali congiunti per proteggere i cavi sottomarini – i nervi ottici dell’economia occidentale – e per dare la caccia ai sottomarini russi. La forza combinata conterà “almeno 13 navi”, un numero che per gli specialisti indica non un gesto simbolico, ma un dispositivo stabile e scalabile lungo il fianco settentrionale della NATO. L’intesa arriva dopo un accordo da circa 10 miliardi di sterline con cui Oslo acquisterà almeno cinque fregate costruite nel Regno Unito; Londra, dal canto suo, equipaggerà la flotta di superficie con missili norvegesi.
La mossa si inserisce in un contesto di “pressione invisibile”: negli ultimi anni si sono moltiplicati incidenti e sospette sabotaggi a cavi e condotte nel Baltico, spingendo la NATO a varare la rete per la protezione delle infrastrutture sottomarine e a rafforzare il coordinamento con l’industria. A Helsinki, il segretario generale Mark Rutte ha annunciato a gennaio una nuova missione per la sicurezza subacquea nel Baltico; a fine maggio, a Karlskrona, Alleanza e partner industriali hanno pianificato nuovi sistemi di sorveglianza e risposta. Il dato che tutti ripetono è semplice e impressionante: oltre il 90% del traffico internet globale viaggia sott’acqua, così come transazioni per circa 10 trilioni di dollari al giorno. Proteggerli non è un dettaglio tecnico, ma un pilastro della sicurezza europea.
C’è poi un dilemma legale: gran parte dei cavi corre in acque internazionali, dove il vuoto normativo complica l’attribuzione e la deterrenza. Non a caso, ufficiali della NATO hanno ammonito che distinguere un danno accidentale da un atto ostile, sott’acqua, resta proibitivo. In caso di crisi, questa nebbia giuridica potrebbe rallentare le risposte collettive – un motivo in più per tessere pattugliamenti congiunti e reti di sensori “a monte”, prima della crisi.
“Northern Axe 25”: la Finlandia prova la mobilitazione rapida
Sul fronte terrestre, il segnale più robusto arriva dalla Finlandia. A cavallo tra fine novembre e inizio dicembre 2025, Helsinki ha diretto una serie coordinata di esercitazioni che – nel loro complesso – hanno coinvolto fino a 15.000 militari tra coscritti, riservisti e reparti attivi, con innesti di unità alleate di Regno Unito, Svezia e Polonia. Il fulcro è “Northern Axe 25”, un LIVEX multinazionale nella zona di Vuosanka che, per la prima volta, ha assegnato a una compagnia regionale di riservisti una vera missione di combattimento all’interno di un quadro di brigata. Una decisione che fotografa un salto dottrinale: i riservisti non più solo per la difesa statica, ma per manovre offensive, notturne, in ambienti boscosi e urbani.
Parallelamente, l’Esercito finlandese ha condotto “Lively Sentry 25” nell’area di Helsinki, coinvolgendo oltre 6.500 persone tra coscritti in congedo e riservisti richiamati, e ha accentrato nel poligono di Rovajärvi in Lapponia gli addestramenti di fuoco di “Northern Strike 225”, con 2.200 militari e 500 mezzi e la presenza inedita di lanciarazzi polacchi Homar-K. Sono tasselli diversi di un mosaico unico: provare la mobilitazione nazionale in condizioni di inizio inverno, esattamente quando una crisi reale nel Nord avrebbe più probabilità di esplodere.
Dietro la cronaca, una strategia: dopo l’ingresso nella NATO nel 2023, la Finlandia ha accelerato l’integrazione con gli alleati e ha avviato la presenza di una forza terrestre alleata “avanzata” nel nord del Paese. Il disegno prevede il comando in Mikkeli e basi sopra il Circolo Polare Artico, a Rovaniemi e Sodankylä, con Svezia alla guida del dispositivo e contributi di Regno Unito, Francia, Norvegia, Danimarca e Islanda. Non è una guarnigione permanente; è, piuttosto, una “presa” logistica e operativa pronta a essere alimentata rapidamente se il quadro peggiora.
Tedeschi a Malbork: i Typhoon vigilano sul Baltico
Spostando lo sguardo verso sud-est, la Luftwaffe ha ridispiegato in Polonia diversi Eurofighter con circa 150 tra tecnici, specialisti e militari di supporto, schierati alla base di Malbork. Il mandato è duplice: contribuire alla sorveglianza 24/7 dello spazio aereo dell’Alleanza e rispondere a violazioni e incursioni di droni e velivoli russi che, nelle ultime settimane, hanno moltiplicato i “close pass” nello spazio baltico. La missione, annunciata in autunno e avviata a dicembre, dovrebbe proseguire fino a marzo 2026. È un segnale politico a Varsavia e un tassello operativo in un cielo sempre più affollato, dove negli ultimi mesi si sono succeduti scramble di RAF e Gripen svedesi dalla stessa Malbork.
In parallelo, Berlino ha iniziato a dispiegare lo scudo Arrow – la componente “alta quota” della difesa anti-missile – a integrazione di Patriot e IRIS‑T, segno che la riflessione strategica tedesca non riguarda solo la polizia aerea ma anche la minaccia di missili balistici a più lungo raggio.
Dalla “guerra ibrida” al rischio di incidente: perché l’Artico e il Baltico contano
Il quadro che emerge collega tre fili: mare, terra, cielo. Sotto il mare c’è l’ossatura della connettività e dei pagamenti globali; in aria, l’air policing tiene a distanza voli “non cooperativi”; a terra, Helsinki dimostra che la mobilitazione rapida non è più un tema teorico. La NATO valuta da tempo che la minaccia ai cavi sottomarini sia oggi “uno dei rischi più attivi” sul tavolo, tanto da creare una rete dedicata con l’industria per migliorare la consapevolezza situazionale e la risposta alle anomalie. Non si tratta solo di Russia: ma è l’attivismo di Mosca – tra droni, spionaggio marittimo e interferenze – a fare da moltiplicatore d’allarme.
La tentazione di liquidare tutto come “routine” sarebbe pericolosa. In alto mare, il confine tra esercitazione e provocazione è sottile; nello spazio aereo, un transponder spento o un piano di volo mancante aumentano il rischio di incidente; sott’acqua, un cavo tranciato può apparire come avaria finché non si dimostra il contrario. È esattamente quel “vuoto” giuridico che spinge Regno Unito e Norvegia a legare le pattuglie e che ha convinto gli alleati nordici a trasformare la già vasta Nordic Response 2024 in una catena di esercitazioni coordinate per stressare logistica, fuoco e comando in condizioni artiche.
Le domande che contano per le capitali europee
- Il messaggio di Putin è solo retorica o un tentativo di alzare il prezzo della trattativa? Gli emissari americani hanno parlato di colloqui “utili ma difficili”, mentre Kyiv e vari leader europei invitano il Cremlino a smettere di “far perdere tempo al mondo”. La cornice di un’intesa resta lontana.
- Le pattuglie congiunte UK‑Norvegia basteranno a dissuadere attività ostili contro le infrastrutture sottomarine? La risposta tecnica – sensori, droni, pattugliatori – va di pari passo con quella politica: mostrare che esiste una vigilanza continua e condivisa.
- La postura finlandese è difensiva ma muscolare. La cifra di 15.000 militari impegnati nel ciclo di fine anno, con riservisti in missione di combattimento e artiglierie alleate in Lapponia, è un messaggio multiplo: deterrenza per Mosca, interoperabilità per gli alleati, resilienza domestica.
- L’air policing tedesco in Polonia è il sintomo di un “nuovo normale” sul fianco est. L’estensione fino a marzo 2026 indica che la missione non è una parentesi.
Che cosa cambia per i cittadini europei
Non è (solo) una storia di militari. I cavi sottomarini reggono la nostra vita digitale: messaggi, video, transazioni, sanità connessa, reti elettriche eolica‑offshore. Un taglio nel posto sbagliato rallenta pagamenti, blocca servizi, isola intere aree. Per questo il tema, sulla carta tecnico, è diventato politico. La NATO ha esplicitato che la protezione delle infrastrutture critiche è parte della sua credibilità come alleanza; diversi governi – tra cui Regno Unito, Norvegia, Germania, Finlandia – stanno adattando flotte, dottrine e norme per colmare i vuoti. L’UE, dal canto suo, lavora a standard comuni, piattaforme di monitoraggio e strumenti finanziari per colmare i buchi nelle capacità.
L’orizzonte a breve: più pattuglie, più esercitazioni, più coordinamento
Nelle prossime settimane vedremo in mare la task force UK‑Norvegia, in aria una presenza più densa di velivoli alleati tra Baltico e Mar Nero, e a terra il proseguimento del ciclo addestrativo nordico, in cui “Northern Axe 25” è stato il tassello più visibile ma non l’unico. Le autorità finlandesi hanno definito questo ciclo come un passaggio dalla “dimostrazione di prontezza” alla “validazione di una difesa reale in inverno”, integrando alleati e riservisti in catena di comando nazionale.
C’è una lezione che torna: la deterrenza funziona se è credibile, visibile e sostenibile. E cioè se le navi davvero incrociano, se i piloti davvero decollano, se i riservisti davvero manovrano. Dietro le quinte, la diplomazia continua – ma la frase di Putin sul “non avere più nessuno con cui negoziare” in caso di guerra europea è un promemoria secco: il tempo utile per evitare errori di calcolo si misura adesso, nelle scelte di pattuglia, nelle regole d’ingaggio, nelle linee rosse spiegate con chiarezza.
La mappa dei fronti, in tre righe
- Artico/Nord Atlantico: pattuglie congiunte Regno Unito–Norvegia, focus su cavi e sottomarini, più cooperazione con l’industria per sorveglianza e ripristino.
- Finlandia: ciclo esercitativo invernale fino a 15.000 uomini, “Northern Axe 25” a Vuosanka con riservisti in missione e presenze alleate; artiglierie e fuoco combinato a Rovajärvi.
- Polonia/Baltico: Eurofighter tedeschi a Malbork con circa 150 militari di supporto, mandato fino a marzo 2026; intensificazione degli scramble alleati nel Baltico.
In questo triangolo, il filo politico resta teso. Ma proprio perché la linea è sottile, la notizia – buona – è che l’Europa sta imparando a camminarci sopra con passo coordinato: non più isole, ma una trama. L’Artico non è più lontano, la Polonia non è più periferia, la Finlandia non è più “terra di mezzo”. È qui che oggi si misura la tenuta della sicurezza europea.