Il caso
«Il Venezuela è circondato»: Trump annuncia il blocco navale. Ma quali sono le regole?
L'ennesima mossa del presidente Usa agita più di altre volte mari e codici: tra “armada” e norme, dove finisce la politica di potenza e dove iniziano i divieti del diritto del mare?
Un elicottero puntato su una sagoma scura nel Caribe. Il video, diffuso il 10 dicembre 2025, mostra militari americani che calano su una petroliera: si chiama Skipper, è “sanzionata”, viene presa sotto controllo senza vittime. Pochi giorni dopo, la dichiarazione che fa saltare tutti gli argini retorici: “blocco totale e completo” di tutte le petroliere sanzionate in entrata e in uscita dal Venezuela. A parlare è Donald Trump, che il 16 dicembre 2025 proclama che Caracas è “completamente circondata” dalla “più grande flotta navale mai assemblata in Sud America”. Al di là della scena e delle parole, la domanda è semplice e allo stesso tempo esplosiva: un “blocco navale” del genere è compatibile con il diritto internazionale?
Nei fatti, l’annuncio si innesta su un crescendo: dispiegamenti della U.S. Navy nel sud dei Caraibi da fine agosto, operazioni letali contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico in acque internazionali con decine di morti, la designazione di gruppi criminali latinoamericani come Foreign Terrorist Organizations (FTO) e, in novembre, il passo ulteriore: inquadrare il cosiddetto Cartel de los Soles legato a Nicolás Maduro come “terroristico” per collegare il traffico di droga a una minaccia alla sicurezza nazionale statunitense. Il risultato dell’annuncio sul mercato è immediato: il greggio risale di oltre 1% il 17 dicembre 2025 per il timore di un taglio di 400–600 mila barili/giorno di export venezuelano e di interruzioni ai flussi della “shadow fleet” che muove il crudo di PDVSA verso l’Asia. Ma i mercati, per una volta, sono la parte meno complessa del problema. La più difficile è giuridica.
Cosa ha annunciato davvero Washington
Il 16 dicembre 2025 la Casa Bianca comunica un “blocco totale e completo” che mira alle “petroliere sanzionate” dirette al o provenienti dal Venezuela. La portata operativa dell’ordine non è dettagliata, ma s’inserisce dopo il sequestro della Skipper (10 dicembre) e settimane di azioni di forza in mare contro “barche di narco‑terroristi”. Caracas reagisce parlando di “minaccia grottesca”, promettendo un ricorso alle Nazioni Unite.
Trump sostiene che l’azione si fonda su lotta a terrorismo, narcotraffico, tratta di esseri umani, omicidi e rapimenti attribuiti al regime di Maduro; annuncia che il Venezuela sarebbe addirittura “designato” come entità terroristica e che l’area è “circondata” dalla più imponente armada regionale. Restano però questioni aperte sulla base legale specifica, sui poteri di ingaggio e sull’imparzialità delle interdizioni rispetto a navi di Paesi terzi.
Nel frattempo, il dispiegamento militare statunitense nel Caribe — parte di Operation Southern Spear — ha già visto più di 90 morti in diversi episodi tra settembre e dicembre 2025, secondo ricostruzioni giornalistiche; a ottobre, esperti indipendenti ONU hanno definito alcune di queste azioni “esecuzioni extragiudiziali”, respingendo la giustificazione di autodifesa.
“Blocco navale” non è una parola neutra: nel diritto significa guerra
Nel lessico giuridico, un blocco navale è storicamente uno strumento di guerra: isolare via mare la costa del nemico e impedire entrate e uscite. Non è un generico “interdiction at sea”. La dottrina classica e la prassi del Diritto internazionale umanitario (DIU) lo collocano tra le misure della “guerra sul mare”, soggette a regole stringenti: effettività, notifica, imparzialità, divieto di blocchi che mirino a fame della popolazione civile. Il punto cardine moderno è il San Remo Manual del 1994, una restatement autorevole delle regole dei conflitti armati in mare: disciplina le condizioni, stabilisce la protezione dei civili e precisa quando si possono fermare e catturare navi — comprese quelle neutrali — che violino un blocco effettivamente in atto o trasportino contrabbando militare. Ma — ed è il nodo — il Manuale si applica ai conflitti armati; fuori da quel perimetro, parlare di “blocco” crea immediatamente un problema di legalità.
Carta ONU e UNCLOS: il perimetro è stretto
La Carta delle Nazioni Unite (art. 2(4)) vieta la minaccia o l’uso della forza “contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica” di ogni Stato; l’unica eccezione unilaterale è l’autodifesa (art. 51) contro un attacco armato, nel rispetto di necessità e proporzionalità, con obbligo di notifica al Consiglio di Sicurezza. Altrimenti, serve un’autorizzazione del Consiglio ai sensi del Capitolo VII. Un “blocco navale” unilaterale contro un altro Stato è tipicamente considerato un atto di guerra o comunque un uso della forza: senza mandato o difesa da attacco armato, entra in rotta di collisione con l’art. 2(4).
La Convenzione ONU sul Diritto del Mare (UNCLOS) tutela la libertà di navigazione in alto mare (artt. 87, 90) e l’esclusiva giurisdizione dello Stato di bandiera (art. 92). La “right of visit” in tempo di pace è stretta: prevede eccezioni tassative (pirateria, tratta di schiavi, radiodiffusione illecita, navi senza bandiera o con bandiera sospetta). Non comprende l’enforcement di sanzioni unilaterali contro terzi in alto mare, salvo consenso dello Stato di bandiera o mandato internazionale. L’art. 88 riserva l’alto mare a “scopi pacifici”.
In altre parole, senza un conflitto armato riconoscibile tra USA e Venezuela o una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, interdire sistematicamente il traffico marittimo verso/da un Paese terzo in alto mare — se coinvolge navi di bandiera straniera non statunitense — rischia di violare la libertà di navigazione e la sovranità degli Stati di bandiera, oltre al divieto della minaccia o uso della forza della Carta ONU.
L’argomento americano: autodifesa contro “narcoterrorismo” e designazioni FTO
Washington articola due linee: combattere il narcotraffico e la tratta come minacce alla sicurezza nazionale, e accostare soggetti venezuelani (il famigerato, e forse inesistente, Cartel de los Soles) a organizzazioni terroristiche per incardinare l’uso della forza in un paradigma di autodifesa extra‑territoriale contro attori non statali.
Sul piano del diritto, però, restano passaggi critici: l’autodifesa extra‑territoriale contro non‑statali richiede una “armed attack” attuale o imminente e, se condotta nello spazio di un altro Stato, deve fare i conti con la sovranità di quest’ultimo salvo che sia “unable or unwilling” a prevenire gli attacchi. Inoltre, la categoria FTO del diritto statunitense (sezione 219 INA) riguarda “organizzazioni” e non Stati; l’eventuale equiparazione politica del Venezuela a un’entità terroristica non muta automaticamente il quadro del diritto internazionale generale, né crea uno “stato di guerra” che abiliti un blocco in senso classico. A ottobre, esperti indipendenti ONU hanno qualificato come “illegali” alcuni attacchi letali in mare attribuiti agli USA, indicandoli come esecuzioni extragiudiziali e violazioni della sovranità venezuelana: un monito pesante per l’argomento dell’autodifesa wide‑angle.
Precedenti utili (e ingombranti): Cuba 1962, Gaza, e il diritto consuetudinario
Il riferimento più evocato è la “quarantena” navale degli USA contro Cuba nel 1962: per evitare il termine “blockade”, allora chiaramente bellico, Kennedy ottenne una risoluzione dell’OAS in base al TIAR (Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca) e rivestì l’azione come difensiva e collettiva. Quell’architettura, pur controversa, fornì una copertura regionale in un contesto di minaccia nucleare riconosciuta. Ad oggi, non risulta un passaggio equivalente né all’OAS né, tantomeno, al Consiglio di Sicurezza a sostegno di un “blocco” sul Venezuela. La differenza è sostanziale.
Più di recente, la discussione sulla legalità dei blocchi ha incrociato il caso del blocco di Gaza: documenti internazionali e il San Remo Manual sono stati usati per sostenere che un blocco può essere legittimo se dentro un conflitto armato e rispettoso di proporzionalità e tutela dei civili. Ma proprio questi requisiti confermano la regola: fuori da un conflitto armato e senza mandato, un “blocco” è difficilmente difendibile.
