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Il caso a Caltanissetta

In città vivono diecimila poveri assoluti

Tra statistiche, ricorrenze e sonnambulismo sociale c'è un'emorragia che si allarga costantemente e che difficilmente potrà essere tamponata

Enrico De Cristoforo

19 Ottobre 2025, 11:17

Povertà assoluta in crescita a Caltanissetta

Piazza Garibaldi, in pieno centro storico a Caltanissetta

Qualche giorno fa, il 17 ottobre, era la Giornata mondiale di lotta alla povertà, istituita dall’Onu nel 1992 come occasione per sensibilizzare governi, istituzioni e cittadini. In concreto non è accaduto nulla (come, del resto, per molte delle oltre centocinquanta “giornate mondiali” che scorrono spesso nel silenzio). Sulla maggior parte degli organi di informazione e dei siti social la Giornata non è stata nemmeno citata, come se nel nostro Paese e nel nostro territorio non fosse una drammatica emergenza che impone azioni di risposte concrete. Anche a Caltanissetta la Giornata è scivolata nel silenzio. Eppure sono forti i motivi per riflettere e tentare di agire. Un rapporto Istat pubblicato nei giorni scorsi ha stimato in 5,7 milioni le persone che in Italia (dati 224) vivono in “povertà assoluta”: sono l’8,7% della popolazione italiana. In Sicilia l’incidenza raddoppia: sono il 16,3 i siciliani in povertà assoluta, che vuol dire avere un reddito mensile che non arriva a 700 euro, che non consente di provvedere ai bisogni essenziali (cibo, abitazione, cure), determinando «l'incapacità di acquisire i beni e i servizi, necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza».

Ancora più drammatica è la situazione qui. Applicando queste percentuali (peraltro approssimative, ricavate da dati statistici ma anche da stime) nella città di Caltanissetta vivono in condizioni di povertà assoluta 9.444 persone su una popolazione di 57.929 (il dato si riferisce al 31 luglio scorso); e in provincia i poveri “assoluti” sono quasi 40mila su una popolazione di 247mila (con il 23% di ultrasessantacinquenni). Le cifre raddoppiano se si includono anche le persone che vivono in condizioni di “povertà relativa”, cioè con un tenore di vita e di consumi inferiore alla media statistica nazionale.
Al di là dei numeri, del resto, è sotto gli occhi di tutti il profondo e diffuso disagio sociale legato a una situazione di estrema fragilità, che per molti, troppi significa l’assenza di un ambiente e di un progetto di vita, di un luogo dove prendersi cura di sé, costruire un futuro dignitoso anche per i figli, accogliere e veder crescere le relazioni con gli altri.
Lo vediamo tutti, ogni giorno, o forse siamo talmente assuefatti da non vedere più. Lo vedono, dovrebbero vederlo anche coloro che per scelta, per attività politica, con mandato elettorale ricevuto e per impegno con gli elettori costituiscono la classe di governo locale, provinciale, regionale, nazionale. Lo vediamo tutti, ma quasi mostriamo di non averne consapevolezza, mostriamo di non volere o potere fare qualcosa, mentre spesso mostriamo attenzione e voglia di mobilitazione per questioni marginali o addirittura insignificanti. Come se fossimo ormai rassegnati all’ineluttabilità di una sorta di agonia sociale nell’inedia senza neppure, ormai, rendercene conto. Si diffonde sempre più e si aggrava il “sonnambulismo sociale” (incisiva e appropriata definizione usata già da qualche anno dal Censis), e la risposta di una crescente moltitudine non è un’attiva mobilitazione ma la diserzione delle urne elettorali (a Caltanissetta all’ultima elezione per il sindaco andarono a votare meno di metà degli elettori).