Dimissioni di Cuffaro, Calenda all'attacco: «Che errore aver permesso a uno che è stato in galera di tornare in politica»
Il leader di Azione coglie l'occasione per criticare il governo Schifani e tornare a chiedere di commissariare la Sicilia
Cuffaro ha rassegnato le dimissioni da segretario nazionale della Democrazia Cristiana. Nel comunicato stampa dichiara che intende lasciare «irrevocabilmente» l’incarico, con la convocazione del Consiglio nazionale del partito per il 20 novembre. Ma più rilevante è il contesto: Cuffaro è un ex presidente della Regione siciliana (1999-2008), condannato per favoreggiamento alla mafia nel 2011 (sentenza definitiva per sette anni, scontati quattro anni e undici mesi) e oggi nuovamente coinvolto in indagini su appalti pilotati. La sua rimonta politica – tornare alla segreteria della DC – aveva già suscitato enorme clamore e critica.
La dichiarazione di Carlo Calenda, leader di Azione, è durissima: «Potremmo dire: era ora. La realtà è che c’era già qualcosa di profondamente malato e sbagliato nell’aver consentito … uno che è stato in galera per favoreggiamento di mafiosi … tornare in pompa magna al centro della politica siciliana. Chi era Cuffaro lo sapevamo tutti. … Commissariare la Sicilia ora. Unica soluzione per i siciliani»
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Il passaggio è emblematico: non si tratta solo di un “ritorno in politica” dopo la condanna, ma di un cliché – per usare le parole della cronaca – del “cuffarismo”, termine che storicamente ha indicato l’intreccio fra potere politico, clientelismo e rapporti opachi nella Sicilia post-regione autonoma.
Questo rilancio politico di Cuffaro, e la reazione così forte di un leader nazionale – Calenda – aprono uno scenario più ampio: la Sicilia torna a interrogarsi sui temi della credibilità delle istituzioni, sulla governance regionale e sul rapporto fra politica e sistema clientelare.
Le accuse di Calenda e il ruolo di Schifani
L'attacco di Calenda ovviamente ha anche un altro bersaglio: il governatore Schifani. Il 17 settembre 2025 Calenda accusa Schifani di «offendere la Sicilia» con la gestione delle nomine, sostenendo che «a offenderla è il modo in cui lui gestisce le nomine di società che dovrebbero fare il bene dei siciliani, usate come scambio per il tesseramento di Forza Italia».
Ancora prima, il 13 settembre, la testata Open Online titola: «Calenda senza peli sulla lingua a Schifani: ‘La Sicilia è da buttare’». Nel dietro le quinte della convention dei giovani di Forza Italia a San Benedetto, Calenda avrebbe detto che la Sicilia «non deve mai più avere un Parlamento regionale», chiedendo che lo Stato “si occupi direttamente” dell’isola.
Da parte sua il presidente Schifani ribatte: le parole di Calenda sono «gravissime», e come siciliano non può tollerare che si parli della Regione come se fosse «di sua proprietà».
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Il contesto politico è dunque doppio: da un lato la débâcle del “modello Cuffaro”, che offre a Calenda un simbolo forte del malfunzionamento siciliano; dall’altro un attacco frontale a Schifani sul terreno della gestione delle istituzioni regionali, clientelismo e trasparenza.

