il cuffaro pensiero
Cuffaro e i giudizi sui politici siciliani: Schifani, Sammartino, Lombardo. Il retroscena del patto (poi sfumato) con Renzi per le Europee
Dalle carte dell'inchiesta emergono le reali e pessime valutazioni del leader Dc sui big della politica siciliana. A marzo 2024 l'accordo con Renzi è a un passo e Totò fa la lista dei voti
Renato Schifani? «Poco credibile». Luca Sammartino? «Una merda, convinto di essere l'unico intelligente». Raffaele Lombardo? «Colui che mi ha fatto mettere sotto indagine». L'ex assessore Salvatore Barbagallo? «Il tangent scout di Sammartino». Dice proprio così Totò Cuffaro: «tangent scout», inventandosi un neologismo dalle pesanti allusioni.
Il leader democristiano così parlava, lasciandosi andare senza sapere di essere intercettato, di alcuni tra i principali protagonisti della politica siciliana. Lontano dalla formalità vuota dei comunicati stampa, le centinaia di pagine dell'inchiesta della Procura di Palermo restituiscono squarci di verità. A cominciare dal giudizio poco lusinghiero sul governatore Schifani che Cuffaro condivide con l'altro indagato Saverio Romano. Il parlamentare di Noi Moderati da una parte si lamenta con Totò del fatto che Schifani non lo stia considerando adeguatamente nella spartizione delle poltrone della sanità, dall'altra sottolinea l'incapacità del governo regionale di spendere i fondi europei. Al punto che a Roma qualcuno si metterebbe «a ridere» parlando di Schifani. Per sottolineare «la poca credibilità» del presidente. Giudizio che Cuffaro sottolinea di condividere: «Lo so».
Giudizi pesanti riguardano l'assessore all'Agricoltura Luca Sammartino. Il leghista, azzoppato pure lui da un'indagine della magistratura che lo accusa di corruzione elettorale, è stato costretto per circa un anno a lasciare il suo posto al tecnico di sua fiducia Salvatore Barbagallo. «Questo Sammartino è una merda... mi sta facendo incazzare», confida Cuffaro a un suo fedelissimo.
Ma stavolta i giudizi non li nasconde e li vomita in faccia allo stesso Sammartino durante un tumultuoso faccia a faccia a casa dello stesso Cuffaro. Il terreno di scontro è il consorzio di Bonifica della Sicilia occidentale. «Stavi tentando di prenderti pure il Consorzio di Palermo, te l'abbiamo sventato in commissione», lo accusa l'ex governatore. «Ma sto loop mentale da dove... ha origini lontane che non conosco?», replica l'assessore. «Tu sei convinto che io sono coglione e l'unico intelligente sei tu», rilancia Cuffaro. Che ha nel mirino pure Barbagallo, considerato la longa manus di Sammartino anche prima di sostituirlo nel ruolo di assessore. In particolare Cuffaro va su tutte le furie quando si parla del potere di scegliere i commissari per le gare d'appalto del Consorzio. «Sta avocando tutto nelle mani di questo signor Barbagallo che è il suo tangent scout… gli ho detto Luca… non la puoi fare questa cosa a Palermo, non te la faccio fare!». Lo scontro andrà avanti a lungo, ma alla fine sarà Cuffaro ad avere la meglio e a vedere confermato il suo uomo di fiducia, Giovanni Tommasino, nel ruolo di direttore dell'ente con tutti i poteri rivendicati.
A un certo punto la faida con Sammartino (formalmente alleato di ferro di Cuffaro sull'asse Lega-Dc) raggiunge un punto così alto che un fedelissimo di Cuffaro gli sussurra: «Io l’ho sempre detto che tra Sammartino e Lombardo è meglio Lombardo. Tu non sei d’accordo…». Tradotto: nonostante tutto è sempre sul leader autonomista Raffaele Lombardo, suo successore alla guida della Regione, che Cuffaro coltiva il giudizio peggiore. A partire da una convinzione vecchia di 15 anni che però, nella mente di Totò, non tramonta: «È stato lui a farci mettere sotto indagine», dice a Romano e al suo braccio destro Vito Raso. Ma con Lombardo si deve trattare, a cominciare dalla sanità.
Eppure Cuffaro lo cercano in tanti. Marzo 2024, mancano due mesi alle elezioni Europee e Totò sta per stringere un accordo elettorale con Matteo Renzi. Patto che alla fine salterà. «Alle Europee da me dipende se candidarmi o no», dice Cuffaro, parlando col suo ex avvocato. «Ma Renzi te lo dà il seggio?», domanda il legale. «Ma certo!». E il leader Dc aveva buttato giù la mappa dei voti di cui si sentiva sicuro: «Quindicimila voti ad Agrigento, cinque a Trapani e sono venti, Enna la tengo bassa e ne metto altri cinque. E cinque a Ragusa. Tremila voti a Siracusa, 15 a Catania, 4mila a Messina e 18mila a Palermo. Sono 70mila», fa i conti insieme al fratello Silvio, dirigente generale alla Regione.
Poi, ragionando, sui voti di preferenza: «Se c'è Renzi li prende i voti... ma anche se non c'è Renzi e mettono sto Chinnici (Dario Chinnici, consigliere comunale a Palermo ndr) quindicimila voti alla fine glieli dobbiamo fare prendere in tutta la Sicilia eh...».
