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“Ho giocato in casa e non mi sono sentita a casa. Tanti insulti razzisti dal pubblico”: il grido di Adhu Malual scuote la pallavolo italiana

La 25enne opposto della Monviso denuncia le parole pronunciate nei suoi confronti e ai familiari che erano sugli spalti durante il match con Macerata. La risposta di Lega e club: solidarietà piena e richiesta di provvedimenti

Laura Mendola

21 Dicembre 2025, 20:15

“Ho giocato in casa e non mi sono sentita a casa. Tanti insulti razzisti dal pubblico”: il grido di Adhu Malual scuote la pallavolo italiana

La partita è già finita, ma al Pala Bus Company di Villafranca Piemonte resta un’eco stonata, più forte di qualsiasi schiacciata. In un palazzetto che dovrebbe essere rifugio, Adhu Malual rompe il silenzio e affida a Instagram parole che pesano: «Ieri sera ho giocato in casa. E non mi sono sentita a casa». La serata di sabato 20 dicembre 2025 — turno di Serie A1 tra Wash4Green Monviso Volley e CBF Balducci HR Macerata — non passerà agli almanacchi per il punteggio, ma per l’accusa pubblica della nazionale azzurra: insulti incessanti, offese personali e «commenti razzisti», diretti non solo a lei, ma anche ai suoi familiari presenti in tribuna. Una linea oltrepassata, per la quale «il silenzio non è più un’opzione». Lo sport si ferma, parla la persona. E il movimento del volley femminile, scosso, è chiamato a dare risposte chiare.

Un post, una frattura

Nel suo messaggio social, la 25enne opposto — italiana, nata a Roma da genitori originari del Sud Sudan — racconta un clima «dal primo all’ultimo punto»: fischi costanti, insulti, offese personali e «sì, commenti razzisti», estesi fino alla famiglia. Non una critica sportiva, ma un bersaglio umano. «Si può sbagliare, fa parte del gioco. Quello che non fa parte di questo sport sono gli insulti... Non per spronare. Non per sostenere. Solo per colpire». Parole nette, che trasformano la cronaca di un match in un caso. «Sono fiera di essere italiana... e non permetterò a nessuno di metterlo in discussione», scrive ancora.

La risposta delle istituzioni: “Intollerabile, i responsabili restino fuori”

La reazione della Lega Pallavolo Serie A Femminile è immediata. Il presidente Mauro Fabris condanna l’episodio come «totalmente inaccettabile» e annuncia la richiesta di intervento del Giudice di Lega, oltre al coinvolgimento della Federazione per acquisire il giudizio degli arbitri presenti. L’obiettivo dichiarato: identificare i responsabili e «proibire loro l’accesso al palazzetto». Non solo solidarietà, dunque, ma la prospettiva di misure concrete. Non è un comunicato di circostanza: Fabris ricorda che nel campionato italiano giocano atlete provenienti da circa 40 nazioni, segno di un movimento che si riconosce nella diversità e che non può tollerare derive del genere.

La posizione del club: “Minoranza rumorosa, ma lontana dai nostri valori”

Anche la Monviso Volley si schiera a fianco della propria atleta: la società «prende fermamente le distanze» dalle manifestazioni di dissenso, attribuite a una minoranza del pubblico, e ribadisce i propri «valori» e «principi» fondati sul rispetto. È un passaggio necessario: non basta proteggere chi indossa la maglia, bisogna assumersi il compito — impopolare quanto urgente — di educare e selezionare il pubblico, se serve anche con sanzioni individuali e allontanamenti a tempo indeterminato per chi oltrepassa il limite. Nel post, Malual ringrazia la società per il supporto e quei tifosi che «riconoscono l’impegno» e comprendono il «momento delicato».

La voce della protagonista

“Fiera di essere italiana”: identità, appartenenza, responsabilità

Nel post che ha acceso i riflettori, Adhu Malual non si limita a denunciare. Ribadisce la propria identità e l’appartenenza: «Sono fiera di essere italiana... fiera di indossare la maglia azzurra». È un passaggio cruciale, perché smonta sul nascere la retorica dello “spogliatoio contrapposto al Paese”: qui non c’è conflitto tra patrie, c’è una cittadina italiana che chiede di poter lavorare — giocare a pallavolo, sotto pressione com’è normale — in un contesto di rispetto. La frase più potente resta la chiusura: «Il silenzio non è più un’opzione». È la presa di parola come atto di tutela personale e, insieme, come gesto pubblico che interpella compagni, avversarie, società, tifosi e istituzioni.

Il peso della famiglia sugli spalti

Chi frequenta i palazzetti sa che per molte atlete la famiglia è una bussola: un volto in tribuna, un saluto dopo la partita. Veder trasformare quel luogo in un bersaglio è una frattura difficile da assorbire. Malual racconta che le offese hanno raggiunto «anche i miei familiari sugli spalti». È qui che si spezza il patto non scritto tra campo e gradoni: si può contestare una scelta tecnica, non si “colpiscono” gli affetti. La Lega lo definisce «intollerabile»; il club prende posizione; tocca adesso agli spettatori, agli abbonati, ai gruppi organizzati dire chiaramente dove si collocano.